Vitaliano Brancati

Caro Signor Gervaso, recentemente mi è capitato, nella città dove vivo, Catania, di assistere a una bellissima rappresentazione teatrale del "Bell'Antonio", organizzata dall'Esda Italia, l'associazione presieduta dall'illustre andrologo e urologo Vincenzo Mirone, che studia e affronta i problemi di disfunzione erettile, di cui soffrono più di tre milioni d'italiani. Le sarei grato se dedicasse un breve profilo all'autore del "Bell'Antonio", il mio concittadino Vitaliano Brancati.
Sandro Cosentino - Catania

Il grande alloro Vitaliano Brancati lo cinse nel 1949, aggiudicandosi il premio Bagutta per "Il bell'Antonio". Da quando, giovanissimo, s'era votato alle lettere, pur non trascurando l'insegnamento d'italiano e storia negli istituti magistrali, aveva fatto tanti progetti; alcuni andati in porto; altri, naufragati.

L'infanzia la trascorse a Pachino, nel sud del sud isolano, dov'era venuto al mondo alle otto di sera del 24 luglio 1907. Il padre avvocato e la madre appartenevano a quella media borghesia che sbarcava decorosamente il lunario, concedendosi piccoli lussi.

Studente modello, quando, nel 1929, a Catania, si laureò con centodieci e lode, con una tesi su Federico De Roberto, i docenti gli pronosticarono una brillante carriera universitaria. A diciassette anni aderì al fascismo e, più tardi, addebiterà la precoce e improvvida infatuazione, oltre che a d'Annunzio, suo mito giovanile, a Ibsen, Anatole France, Pirandello, Bergson, Gentile, e a un "frainteso" Leopardi. L'abiura sarà preceduta da un travaglio profondo, ché la perdita di una fede porta a drastiche revisioni di valori e d'ideali. «In verità - annoterà nel Diario - tutto quello che scrissi e pubblicai dal '36 in poi... è ostile al gusto ufficiale. Ma questo sforzo, ahimé, è scompensato da quanto avevo scritto prima». La palingenesi fu propiziata dai nuovi idoli letterari: Joyce, Proust, Eliot, Thomas Mann.

Finalmente, l'addio all'isola e il gran balzo a Roma.
Nel '40 Brancati scrisse "Don Giovanni in Sicilia", dato alle stampe nel '41, un anno decisivo. Nell'inverno conobbe colei che sarebbe diventata sua moglie. L'incontro avvenne nel teatro dell'università: «... una ragazza trentina volse verso di me il bellissimo volto in cui due grandi armoniosi sopraccigli segnavano il termine fra una dolcezza sconsolata e una calma genialità... Quando la ragazza tornò a voltarsi verso il palcoscenico, io ero già innamorato e l'idea del matrimonio, che per tanti anni m'era apparsa ripugnante, mi sorrideva come una bella persona che avesse finito improvvisamente di deturparsi con una smorfia».

Dopo qualche mese, durante le prove dell'atto unico "Le trombe di Eustacchio", lei si avvicinò a lui. Ma la fatale scintilla ancora non scoccò. Anna Proclemer fu colpita dalla magrezza di Vitaliano, dal suo cappotto scuro e lungo, dal cappello duro, dal sorriso «un po' ambiguo» e dall'eloquio «pacato e ironico, a bocca stretta, con una pronuncia meridionale che gli faceva scivolare la erre e gli allargava le vocali». Nel luglio del 1947 si sposarono e nel maggio successivo nacque Antonia.
Di lì a poco Anna riprese a recitare e Vitaliano ne fu contrariato: avrebbe preferito che lei rinunciasse al cinema e al teatro. Da qui le prime incomprensioni, i primi screzi. Commenterà malinconicamente l'attrice: «Era impossibile un rapporto da pari a pari. Se ho dei rimorsi è per non aver capito, per non esser riuscita a influire su di lui». Ma la stessa colpa - se colpa fu - si sarebbe potuta ascrivere a Vitaliano, che s'immerse sempre di più nel suo lavoro (collaborazioni giornalistiche, sceneggiature cinematografiche, commedie e romanzi).

Nel '49 uscì "Il bell'Antonio", divenuto subito bestseller. Gli ingredienti c'erano tutti: la politica, il moralismo, il gallismo, termine coniato dall'autore. La figura del protagonista, giovane bellissimo e, almeno nell'aspetto e negli sguardi, sensualissimo, ma eroticamente inibito, sposo di una ricca ragazza di Paternò, piacque al pubblico, alla critica e ai produttori, che ne faranno un film di successo con Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale.

Il matrimonio naufragò e neppure la figlia riuscì a riconciliare i genitori. Pur restando amici, Anna e Vitaliano andarono ciascuno per la propria strada. La separazione fu traumatica. Entrambi si erano illusi di trovare nel matrimonio la felicità.
Brancati cercò conforto nella stesura di "Paolo il caldo", una delle sue opere più riuscite, pubblicata postuma nel 1955. Ancora il tema della sensualità che degenera in lussuria, l'impulso che agisce più a fondo, privando la giovinezza di quell'innocenza che ne è il succo vitale.

Nel '54 visitò per l'ultima volta la sua Catania. Da tempo non si sentiva bene, e quando un illustre clinico gli consigliò, passata l'estate, di sottoporsi a un intervento chirurgico, annuì. Il 20 settembre si ricoverò in una clinica torinese. Fatti gli accertamenti, gli comunicarono che il 25 sarebbe stato operato (la sera andò al cinema con la moglie e le parlò a lungo dell'ultimo libro). L'intervento riuscì, ma improvvise complicanze, il giorno stesso, lo stroncarono. Sul comodino, le cartelle di "Paolo il caldo".

atupertu@ilmessaggero.it
Fonte: IlMessaggero.Caltanet.it il 16-11-2004 - Categoria: Cultura e spettacolo

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