Sviluppo, cosa tocca alla politica

Qualche tempo fa mi trovai a parlare di sviluppo della Sicilia con un giovane amministratore locale siciliano, che con foga sosteneva che per promuovere la crescita della nostra regione è necessario il trasferimento di ingenti risorse dallo Stato (agli amministratori locali? alle imprese? ai cittadini?). La tesi ha conosciuto consensi quasi unanimi in passato ed è ancora diffusa, anche se in misura decisamente inferiore. In realtà, la storia conferma che si tratta, senza ombra di dubbio, di una insensata illusione. Non intendo qui fare riferimento ai costi di quel tipo di politica - che sottrae risorse a chi saprebbe investirle proficuamente per destinarle a chi spesso non è in grado di farlo - ma ai suoi risultati. Questi sono stati ovunque insoddisfacenti: non c'è neanche un esempio al mondo di una politica di trasferimenti pubblici per lo sviluppo che abbia avuto chiaro successo. La ragione è molto semplice: le informazioni necessarie all'impiego razionale delle risorse non sono di pubblico dominio né sono conosciute in anticipo. Noi non sappiamo oggi cosa avrà successo domani; solo un continuo processo di tentativi e correzione degli errori consente di individuare le scelte migliori di investimento. Per usare un'immagine di Milton Friedman, nei nostri rapporti con i soldi le possibilità sono quattro. Posso spendere soldi miei a mio vantaggio; in tal caso ho un incentivo a spendere poco (i soldi sono miei) e, conoscendo le mie necessità, so come spendere bene. In secondo luogo, posso spendere soldi miei a vantaggio di altri (facendo un regalo, per esempio); in questo caso ho sempre un incentivo ad economizzare, ma non sempre riesco a spendere bene, perché non conosco a fondo i gusti, le preferenze, le necessità degli altri. E ancora, posso spendere soldi altrui a mio beneficio; in questo caso non ho incentivo a spendere poco (i soldi non sono miei) ma, conoscendomi, so come spenderli al meglio. L'ultima possibilità è la politica, che nella maggior parte dei casi consiste nello spendere soldi altrui a vantaggio di altri. In questo caso mancano sia l'incentivo ad economizzare che le informazioni necessarie a spendere bene, ed il risultato è lo spreco. Presentata così la questione, anche se estremizzata forse eccessivamente, la spiegazione del perché le politiche di sviluppo falliscono è chiara: ai politici mancano le informazioni necessarie ad impiegare razionalmente le risorse.

Del resto, se guardiamo all'economia siciliana, le storie di successo, che per fortuna non sono poche, non devono nulla alla politica. I grandiosi miglioramenti nell'enologia, che hanno reso i vini siciliani straordinariamente competitivi, non sono il risultato di politiche di sviluppo, ma delle decisioni informate di un gran numero di produttori, più o meno piccoli, che faticosamente, rischiando in proprio, hanno fatto dei nostri vini i migliori in Italia quanto al rapporto qualità/prezzo. Lo stesso vale per il pomodoro pachino e per le tante, piccole o grandi, imprese di successo degli ultimi anni. La politica allora non deve fare nulla? Ovviamente no, deve fare tantissimo: abbattere le barriere che separano la Sicilia dal resto d'Italia, dando vita ad un sistema di trasporti efficiente. Abbattere gli innumerevoli e spesso ingiustificati vincoli di varia natura imposti alle attività produttive. Adoperarsi perché la concorrenza nel settore bancario aumenti, consentendo anche ai siciliani un accesso al credito paragonabile a quello che si ha nelle regioni più ricche. Smetterla di punire chi ha successo, tassandolo ferocemente, e di premiare chi sbaglia, sovvenzionandolo, E così via. Ma soprattutto i politici debbono rinunziare alla luciferina presunzione di credere di sapere, meglio degli interessati, come si debbano impiegare le risorse. Ogni volta che ci hanno provato, il risultato è stato disastroso. E la Sicilia di tutto ha bisogno, tranne che di altri disastri.

Antonio Martino
Fonte: LaSicilia.it il 27-09-2004 - Categoria: Politica

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