Saffo in croce tra censura e martirio

Era davvero senz'appello la condanna che il 18 gennaio del '52 la censura pronunciò contro «La governante». Infatti, la difesa d'ufficio di Vitaliano Brancati («La sostanza della vicenda è più la calunnia che l'amore fra le due donne») non sortì alcun effetto: la commedia poté essere rappresentata solo quattordici anni dopo la sua stesura e undici anni dopo la morte dell'autore. Peraltro, non c'è da meravigliarsi. Più che il tema del lesbismo, alla censura importava l'accusa pesante - quella d'essere spia della cultura conservatrice, ipocrita e conformista dell'epoca - che le rivolgeva il personaggio dello scrittore Alessandro Bonivaglia: «Moralità? La moralità italiana consiste tutta nell'istituire la censura. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno tutto il giorno, e dicono».

Fra i testi teatrali di Brancati, dunque, «La governante» è quello che più e meglio s'allinea con la sua narrativa: poiché rimanda al tema decisivo del gallismo meridionale, che lo scrittore di Pachino adottò come cartina di tornasole per mettere in campo - sul filo della parodia, della satira di costume e di una comicità venata d'amarezza - un'icastica presa di posizione contro, a un tempo, l'ambiente di provincia siciliano e, più in generale, la società e la politica, quelle dominate dal fascismo prima e dai democristiani poi.
Ebbene, nella commedia in questione il gallismo - quello (trascorso) del vecchio Leopoldo Platania e quello (ruspante) di suo figlio Enrico - viene negato addirittura alla radice, perché nella loro casa romana entra una donna - la francese Caterina Leher, la governante del titolo - che i due scopriranno essere, per l'appunto, omosessuale: e che, lacerata fra la sua rigida morale calvinista e l'istinto, finirà per uccidersi quando Jana, la cameriera alla quale lei aveva attribuito il proprio «vizio», muore in seguito alle ferite riportate in un incidente ferroviario mentre tornava al suo paese siciliano dopo essere stata licenziata in conseguenza della calunnia.

Giustamente, quindi, Walter Pagliaro e Giovanni Carluccio - regista e scenografo dell'allestimento de «La governante» che lo Stabile di Catania presenta al Diana - dividono l'azione tra lo spazio della quotidianità (ritratti di famiglia, mobili coloratissimi, giocattoli dei bambini) e la dimensione dell'inconscio e della memoria (una sorta di antro semibuio, rivelato a tratti da pannelli scorrevoli e chiuso sul fondo da uno specchio deformante). Peccato che, poi, questa buona idea risulti in gran parte vanificata dal fatto che l'autentico rito sacrificale a cui viene sottoposta Caterina (i colpi di gong che annunciano le singole scene, le candele accese...) finisce con l'immagine della governante inchiodata a una croce nella stessa, identica posizione di Cristo.

Francamente, mi sembra un po' troppo: perché, s'intende, è piuttosto difficile, oggi, considerare l'omosessualità, anche quella femminile, nei termini dello scandalo e, nientemeno, del martirio. E qui - superfluo aggiungerlo - stanno, d'altronde, i limiti della commedia di Brancati sul piano dell'attualità.
In ogni caso, appare in genere soddisfacente la prova offerta dagl'interpreti: spiccano, ovviamente, Andrea Jonasson (nella foto), perfettamente a suo agio (anche per l'accento straniero) nel ruolo di Caterina, e Pippo Pattavina, un Leopoldo Platania ricco di tutti gli umori e tremori di una «sicilitudine» sconfitta; ma non demeritano - nel contesto funzionale dei costumi di Alberto Verso e delle musiche di Germano Mazzocchetti - neppure Luca Biagini (Bonivaglia) e Loredana Marino (Jana), affiancati da Francesco Di Vincenzo (Enrico), Concita Vasquez (Elena), Pamela Toscano (Francesca) e Pippo Provvidenti (il portiere).
Fonte: Il Mattino il 16-01-2003 - Categoria: Cultura e spettacolo

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