Pachinesi confessano al Gip: Siamo tossici e spacciatori

I cinque pachinesi incarcerati nei giorni scorsi dagli agenti del commissariato di Pachino perchè accusati di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, hanno fatto delle parziali ammissioni. Quasi, come se facessero parte di un coro, hanno detto al Giudice per le indagini preliminari Stefania Scarlata, nel corso dei rispettivi interrogatori, di essere qussi tutti assuntori di sostanze stupefacenti e di aver messo in vendita parte dell'eroina acquistata per il loro fabbisogno personale al fine di potersi procurare i soldi per poter poi riacquistare altra droga. Arroccati su questa posizione difensiva si sono trovati Sebastiano Lorefice, 25 anni, detto «Vastiano 'u litigante», sua moglie Angela Scattarelli, 24 anni, e Maria Parisio, 34 anni, nota con l'appellativo di «Mariuccia a sticchinu», i primi due assistiti dall'avvocato Luigi Caruso Verso e la terza dall'avvocato Natale Di Stefano. Scena muta ha fatto, invece, Giuseppe Di Stefano, 31 anni, inteso «Peppe 'u lesu», mentre ha rigettato le accuse di droga Julio Lorefice, 21 anni, il quale ha però ammesso la detenzione del fucile ad aria compressa rinvenuto dai poliziotti di Pachino nella sua abitazione. Anche Di Stefano e Julio Lorefice, che è fratello di Jano e cognato di Angela Scattarelli, vengono assistiti dall'avvocato Luigi Caruso Verso.

Con le loro dichiarazioni, i coniugi Sebastiano Lorefice e Angela Scattarelli hanno voluto ridimensionare la portata delle accuse che vengono rivolte sia a loro due che agli altri indagati dal pubblico ministero Antonino Nicastro. Nessun arricchimento sarebbe derivato ai due coniugi ed altri indagati dall'attività illecita posta in essere. Secondo la loro tesi, tutto sarebbe stato fatto alla luce del sole, nel senso che, quando si versa nella loro condizione di tossicodipendente, difficilmente si riesce a nascondere l'attività illecita che viene sempre intrapresa per potersi procurare i mezzi finanziari necessari per riacquistare la droga da iniettarsi nelle vene. A sua volta, Julio Lorefice ha negato di aver dei progetti criminosi da attuare con quel fucile ad aria compressa. Secondo lui gli inquirenti hanno frainteso le sue parole. Il giovane ha detto, infatti, di aver manifestato delle preoccupazioni per quel fucile, perchè pensava di poter essere arrestato. Per questa ragione si era rivolto ad un armiere per sapere se poteva o no detenere a casa il fucile ad aria compressa. La risposta era stata positiva e lui aveva portato in casa la carabina.
Fonte: LaSicilia.it il 07-12-2002 - Categoria: Cronaca

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