Naufragio tra inchiesta e romanzo

"Uno dei miei più cari amici si chiama Anpalagan Ganeshu". Comincia così "I fantasmi di Portopalo", il libro di Giovanni Maria Bellu incentrato sul naufragio del Natale '96, la più grave tragedia nel Mediterraneo del secondo dopoguerra. Bellu, inviato del quotidiano "Repubblica", è il giornalista che nel giugno del 2001 individuò il relitto del barcone maltese "F174" a oltre cento metri di profondità. E Anpalagan è il ragazzo tamil ritratto nella carta d'identità, ritrovata in mare da un pescatore portopalese, una delle 283 vittime di quel naufragio ignorato dai governi in carica dal '97 agli inizi del 2001 nonostante i dossier consegnati da Dino Frisullo ad alcuni sottosegretari. Il ritrovamento di quella carta d'identità diede inizio al reportage di Bellu. L'autore segue un doppio livello di narrazione, dove Anpalagan, 17 anni all'epoca del naufragio, è sempre presente e con lui le quasi 300 vittime inconsapevoli di quella tragica odissea clandestina. Il libro è molto efficace nella parte relativa al viaggio della Yioahn, la motonave da dove furono scaricati gli immigrati prima della tragedia, fino all'affondamento della carretta con il carico umano nei fondali tra Malta e la Sicilia. Un ampio spazio è dedicato a Portopalo, il paese pesantemente coinvolto nella tragedia per la vicenda dei cadaveri tirati sù dai pescatori e ributtati in mare per non avere guai con le autorità marittime.

E qui Bellu, in larghi tratti, smette di fare il giornalista d'inchiesta e si lascia andare al romanzo. Molti passi infatti sembrano uscire dai racconti di Camilleri e sui portopalesi vengono applicati i luoghi comuni più tetri degli ambienti dominati e controllati dalla mafia. Si arriva persino a fare riferimento ad una notizia (poteva almeno l'autore, per questioni di etica professionale, citare il quotidiano che l'avrebbe pubblicata) secondo la quale i pescatori locali avrebbero difeso alcuni arrestati per mafia al grido di "vogliamo pagare il pizzo". Ed inoltre Bellu non risparmia accuse a tutta la comunità locale, che non poteva non sapere della tragedia, risparmiando solo un pescatore, l'eroe della vicenda che con il suo gesto toglie dall'oblìo i morti. Giova ricordare che nel '96 ed all'inizio del '97, quando venivano ripescati pezzi di cadavere, erano una ventina circa i pescherecci di Portopalo (fra i quali quello dell'eroe del libro), su un totale di centocinquanta, che si recavano a pescare a 19 miglia, nell'area dove avvenne il naufragio. Per questo nella parte del libro incentrata su Portopalo l'autore lascia a desiderare, cedendo alle lusinghe della sicilitudine.

Sergio Taccone
Fonte: LaSicilia.it il 15-10-2004 - Categoria: Cultura e spettacolo

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