La terra dei mandorli che incantò Platone

Itinerario pieno di sorprese da Siracusa ad Avola, da Noto, regina del Barocco, a Pachino. Il suo nome è sinonimo di arte e cultura antica, ma anche di bellezze naturali. Patria del poeta Teocrito e di Archimede, Siracusa conserva molte tracce del tempo in cui era una città-faro dell’italia antica, una potenza che prima di cadere sotto il dominio di Roma riuscì ad estendere la sua influenza politica e culturale su tutta la Sicilia e sulla parte meridionale del Tirreno e dell’Adriatico. Testimonianza di quel glorioso passato è il celeberrimo teatro greco costruito probabilmente già da Dioniso I nel IV secolo a.C. e poi rimaneggiato dai Romani, immortalato da numerosi pittori, tra cui Gustav Klimt, e ancora oggi ammirato dai turisti di tutto il mondo: un teatro che nell’età antica godette di grande fama e che ospitava le opere dei massimi tragici greci. La pietra per costruire questo e altri edifici fu ricavata dalle Latomie, le cave da cui si traeva il materiale per templi e strade e che oggi, con le loro forme bizzarre, sono state trasformate in splendidi giardini: la leggenda racconta che una delle grotte che esse formano, detta «Orecchio di Dioniso», dotata di una particolare acustica che permette a chi è all’esterno di sentire il più piccolo rumore prodotto sul suo fondo, fosse usata dal tiranno Dioniso per rinchiudervi i suoi prigionieri e origliarne le conversazioni.

Un trattamento che fu riservato anche a Platone, il quale amava moltissimo Siracusa e s’illuse di fare del suo governante il primo esempio vivente del filosofo-re vagheggiato nella Repubblica, e per questo motivo soggiornò a più riprese in questa città: finendo una volta venduto come schiavo, un’altra imprigionato. Un’altra leggenda avvolge Ortigia, l’isola collegata alla terraferma da tre ponti e che costituisce il centro storico di Siracusa. Qui si rifugiarono, nel IX secolo, gli abitanti sopravvissuti alla dominazione araba, e qui si trovano il Duomo e il Castello Maniace voluto da Federico II, le chiese barocche e i ricchi musei con opere di Caravaggio e di Antonello da Messina. Ma la vera meraviglia di questa isoletta è la Fonte Aretusa. Il mito racconta che la ninfa Aretusa, per sfuggire al dio fluviale Alfeo, invocò l’aiuto della dea Artemide, che proprio sulle rive di Ortigia la trasformò in sorgente. Alfeo, però, era talmente innamorato della fanciulla, che decise di tuffarsi in quelle acque per unirsi a lei per sempre. Il luogo non tradisce la leggenda: è incantevole e pieno di fascino. Ma Siracusa sa anche come accontentare il palato. La mattina per colazione rinunciamo all’abituale caffelatte e biscotti, e concediamoci granita di mandorla e brioche; a pranzo, poi, non ci si può esimere dal provare la «pasta fritta alla siracusana» nelle sue due versioni, salata e dolce. La prima si prepara con spaghetti o capellini d’angelo cotti e poi fritti a matassine, che una volta divenute dorate e croccanti vengono condite con olio, aglio, acciughe e pangrattato: è la famosa «pasta cc’acciuvi e a muddica», di cui i siracusani sono ghiotti. Nella versione dolce, invece, le matassine fritte vengono immerse nel miele caldo.

E chi avesse ancora spazio nello stomaco può regalarsi anche un piatto di «tonno alla siracusana», con pomodoro, origano e altre spezie sapientemente dosate. Se Siracusa à una regina, tre cittadine le fanno degnamente corona: Avola, Noto e Pachino. Avola, città medievale che fu dominata dagli Arabi, un tempo sorgeva su un’altura, ma dopo il rovinoso terremoto che nel 1639 colpì la Sicilia, fu ricostruita sulla costa. Fu in quell’occasione che ricevette la sua particolare forma a esagono, con le fortificazioni ai lati, le caratteristiche abitazioni con cortile, le chiese barocche, alle quali col tempo si sono affiancati gli edifici in stile neoclassico e liberty. Ad Avola si vive in maniera semplice e tranquilla, con i prodotti offerti dalla terra e dal mare, come dimostrano i ruderi della vecchia tonnara, santuario di un rito tanto arcaico quanto sanguinario. Pesce a volontà, ovviamente, e poi mandorle, le famose «pizzute d’Avola», tra le migliori della Sicilia. Uno studioso si è dilettato a contarne le varietà della zona: sono 752. Queste reginette della pasticceria siciliana servono per preparare il marzapane per i «frutti di martorana», l’impasto per i famosi biscotti «fiocchi di neve», il succo per l’insuperabile «latte di mandorla». Avola riserva ai suoi visitatori anche uno scorcio di natura d’incredibile bellezza: Cavagrande del Cassibile. Lo si raggiunge dopo una passeggiata faticosa che richiede attenzione, ma lo spettacolo di questo canyon lungo e profondo nel quale occhieggiano laghetti dove i più coraggiosi possono anche fare un bagno merita ogni fatica. Non è la natura, ma l’arte, a dare invece spettacolo a Noto. Questa piccola capitale del Barocco siciliano è un teatro a cielo aperto: con la sua profusione di statue e decorazioni fantasiose, talvolta bizzarre, che ornano fontane e facciate di palazzi, dalle quali aggettano movimentati e pomposi balconcini in ferro battuto: una festosità tragica che dà a questa città un tocco così «spagnolo».

Da Porta Reale in poi è un continuo sfoggio di marmi, stucchi, decori. E quando si arriva di fronte al Duomo, sebbene il terremoto del 1996 ne abbia distrutto la cupola e il tetto, non si può fare a meno di rimanere a lungo col naso all’insù. E poi ci sono gli abitanti, che per il loro modo elegante di fare e di parlare sembrano appena usciti dal romanzo Il Gattopardo. Può succedere persino che ti invitino a entrare nelle loro dimore antiche e a seguirli su per le scale fino a raggiungere soffitte polverose, traboccanti di cimeli di famiglia, fra cui casse e bauli dove sono conservati interi corredi appartenuti a nonne e bisnonne: dentro ci sono lenzuola, camicie da notte e camicette ricamate a mano, mutandoni di pizzo sangallo. Poi ti fanno accomodare in salotti pieni di suppellettili antiche. Tutt’altra atmosfera si respira a Pachino. Un mare limpido e pescoso, un clima al quale la pioggia è quasi sconosciuta - questo è il Comune più soleggiato d’Europa, - una terra famosa in tutto il mondo per la qualità dei suoi frutti: uva e angurie succose, e naturalmente i dolci pomodorini «pachino», che dalla fine degli anni Ottanta hanno conosciuto un vero boom, facendosi ambasciatori dei sapori e dei colori siciliani. A Pachino bisogna fermarsi qualche giorno, per avere il tempo di visitare anche i borghi vicini, come Portopalo, e di esplorare l’isola delle Correnti e la riserva naturale di Vendicari, sulla punta estrema della Sicilia. Luoghi dove la natura è ancora incontaminata e i colori della terra, del cielo e del mare si fondono in mille sfumature. (continua)

Maria Grazia Ippolito
Fonte: GiornalediBrescia.it il 30-08-2004 - Categoria: Cultura e spettacolo

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