La speranza è finita in tragedia

SIRACUSA – Doveva essere l'inizio di una nuova vita, lontano dal terrore e dalle miserie dei loro paesi (Liberia soprattutto, ma anche Costa D'Avorio, Sierra Leone), ed è stata, invece, un'odissea, nella quale più di un quarto di loro hanno perso la vita. Dei cento immigrati clandestini partiti più di una settimana fa da un porto nordafricano, a bordo di un vecchio barcone di circa quindici metri, solo settantatre ce l'hanno fatta. E non ce l'avrebbero fatta nemmeno questi se la «Zuderdiep», una nave mercantile di 121 metri battente bandiera di Gibilterra e con equipaggio polacco, non li avesse incrociati – mentre faceva rotta verso la Turchia – a circa 115 miglia a sud-est di Portopalo. Erano esausti, storditi dalla fame e dal freddo, incapaci di coordinare i movimenti dei propri corpi. Negli ultimi giorni della loro tragica traversata avevano trovato solo la forza, e il coraggio, di buttare in mare chi moriva. Sarebbero stati soprattutto i più giovani e le donne a non farcela. E ci sarebbe stato anche chi ha dovuto trovare il coraggio di gettare in mare il cadavere del proprio figlio. Una donna avrebbe raccontato di avere buttato giù dalla barca il corpo ormai privo di vita del suo bambino di appena un anno. L'equipaggio della «Zuderdiep», che ha incrociato il barcone carico di disperati poco dopo le 14 di sabato, ha caricato a bordo 74 persone, tre delle quali donne. Un giovane, però, dopo un paio d'ore e morto. Un altro, che quasi non dava segni di vita, è stato portato via da un elicottero giunto da Malta. L'elicottero era tornato per prendere un altro uomo in gravi condizioni, ma questo ha avuto uno scatto nervoso inaspettato, rifiutandosi di salire sul velivolo. Seppur quasi in stato di incoscienza, ha capito, evidentemente, che la sua destinazione non sarebbe stata l'Italia. È un episodio che dà la misura della disperazione di questa gente che al sogno di raggiungere l'Europa è pronta a sacrificare ogni cosa, anche la stessa vita. L'elicottero maltese non ha portato via nessun altro, ma di decessi non ce ne sono stati più lo stesso.

Nel frattempo, infatti, è salita a bordo la dottoressa Giuseppina Pignatello della Sanità Marittima che ha provveduto alla prima assistenza dei disperati, rianimandone almeno quattro o cinque che stavano per essere abbandonati dagli ultimi residui di forze. Quei poveracci non stavano male perché, come si era pensato in un primo momento, erano disidratati, non avendo bevuto per giorni. O meglio, non era solo quello il motivo. Erano più che altro assiderati. Il loro debole organismo non era più in grado di difendersi dal freddo e quasi sicuramente pochissimi di loro sarebbero sopravvissuti a un'altra notte in mare aperto, sul barcone alla deriva. «La prima cosa che ho fatto – ha raccontato la dottoressa Pignatello – è stata di farmi portare dall'equipaggio della nave tutte le coperte che c'erano a bordo e le scorte di farmaci ma anche di acqua, zucchero, coca cola e altre bibite dolci. Credo di avere dato da bere quasi trecento litri di acqua e zucchero. Ho anche disposto che i clandestini fossero spostati in un ambiente della nave dove da un bocchettone usciva l'aria calda della sala macchine. Col passare dei minuti molti si sono rianimati, li ho visti riprendere coscienza. Alcuni, però, erano troppo deboli perché si riprendessero subito». A bordo della «Zuderdiep» la dottoressa Pignatello vi è arrivata verso le 22 con una motovedetta della Capitaneria di Porto. Durante le tre ore di navigazione della nave verso il porto di Siracusa, i disperati che ricevevano assistenza parlavano della loro odissea, del loro barcone col motore in avaria e che imbarcava acqua ormai da giorni in balia delle correnti, dei cadaveri gettati in mare.

Santino Calisti
Fonte: Gazzettadelsud.it il 09-08-2004 - Categoria: Cronaca

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