La nobile arte dei calafatari e una barca nella leggenda

La nobile arte dei calafatari e una barca nella leggenda C'è una dinastia a Siracusa che, di generazione in generazione, ha nobilitato l'arte dei calafatari: quella degli Aliffi. Il capostipite nel mestiere fu Pasquale (morto nel 1876), coi figli Gaetano, Francesco, Leopoldo, Sebastiano. Da Gaetano nacquero Sebastiano (che generò Carlo, Adolfo, Aurelio) e Pasquale, Sebastiano, Giuseppe che col padre lavorarono a Marzamemi, e Angelo. Da Francesco (1843-1930) nacquero Salvatore, Pasquale, Giuseppe, Antonino. Da Pasquale (1873-1955) nacquero Vittorio e Carlo, da Antonino (morto nel 1968) Francesco, Mario e Alberto. Da Leopoldo nacquero Sebastiano e Emanuele, che lavorarono anch'essi a Marzamemi. Adolfo Aliffi, tra, tutti, viene riconosciuto come il "maestro" che ha lavorato con più abilità e perfezione. "I calafatari del Cantiere di Siracusa - si legge nel libretto "II buzzettu siracusano" di Augusto Aliffi, edito da Italia Nostra e dalla Società Siracusana di Storia Patria - erano famosi per eleganza delle forme, la solidità delle costruzioni e l'abilità tecnica". Roberto De Benedictis, in prefazione, evidenzia una dotta e particolareggiata spiegazione, tra l'appassionato e il tecnico, di come ci si accosta non solo alla costruzione, ma ad una vera e propria filosofia progettuale del "buzzettu", l'agile robusta elegante barca siracusana che risponde ai requisiti dell'architettura: utilitas, firmitas, venustas (funzionalità, stabilità, bellezza). Insomma: quando è costruita da mano esperta e amorevole, come quella di un maestro dei calafatari siracusani, questa barca, si può definire un'opera d'arte. Partendo, avverte De Benedictis, dalla protagonista: "una tavola di legno, una sesta, chiamata jabbu nel nostro dialetto". Jabbu come "garbo". Una tavola vagamente a forma di "L" con una curvatura al centro, in cui il maestro calafataro "sapeva leggere le forme della barca che voleva costruire, come in un personale ma mutevole prontuario".

Augusto Aliffi annota che una barca siffatta poteva avere bisogno di una prima riparazione ben oltre i 50 anni! Ma nell'epopea dei calafatari concorrono altri nomi: Gaetano Galiffi coi figli Pietro, Sebastiano, Salvatore, e i nipoti Gaetano, Tatai, Pietro, Vittorio, Santino, Tanino e Santo. E la famiglia Nizza con Carmelo (1865-1948) e i figli Francesco, Ernesto, Vincenzo, Luigi, Amedeo. Altri operatori: Orazio Caracò, Ciccino Capodicasa e Dante Piazza. Barca dunque creata per fare fronte spavaldamente a grecale e libeccio, ma anche armoniosa e civettuola negli ornamenti: l'occhio disegnato a prua, le foglie d'acanto, il corno a poppa, i fiori nei corridoi, con effetti cromatici anche nelle simbologie antropomorfe: ogni pescatore voleva che la propria barca fosse adorna "comu na zita". I calafatari sono ancora all'opera, all'ombra delle mura spagnole, sulla riva del Porto Lachio. Oggi si sta costruendo, e la sua mole è ben visibile, addirittura una "giunca" come se ne vedono nei mari della Cina, simile a quelle della nostra infanzia avventurosa leggendo le gesta di Sandokan e dei tigrotti della Malesia all'arrembaggio. La leggenda degli Aliffi calafatari sta però sfumando tra i fantasmi di un passato che ha onorato Siracusa. La antica stirpe si sta inaridendo, a lavorare d'ascia e di maestria sono soltanto i superstiti.

ALDO FORMOSA
Fonte: LaSicilia.it il 25-03-2007 - Categoria: Cultura e spettacolo

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