La mafia vive in silenzio e di silenzi

di Sandro Ruotolo

Proprio qui, in Sicilia, cronisti coraggiosi sono stati ammazzati da cosa nostra. Primo punto. Da quando è venuto alla ribalta, con la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio, il rapporto tra mafia e politica abbiamo assistito ad una delegittimazione della magistratura e del cosiddetto giornalismo d’inchiesta sulla criminalità organizzata da parte del potere politico. Seconda questione. Si tollera che, qualche volta, la carta stampata rompa il cosiddetto fronte, ma alla televisione non è consentito esprimersi su questo terreno. Chi ci ha provato- e mi riferisco per esempio alla trasmissione Satyricon di Daniele Luttazzi quando ha ospitato il giornalista Marco Travaglio – è stato azzittito, cancellato. Per non parlare di noi- e per noi intendo la squadra di Sciuscià edizione straordinaria diretta da Michele Santoro – cancellati per aver parlato di mafia e dei suoi rapporti con Marcello Dell’Utri. Vi ricordate lo stalliere Mangano e la telefonata in diretta del premier Silvio Berlusconi?

Il diritto di cronaca diventa uso criminale del servizio pubblico. E a questo proposito e’ interessante notare che, quando ci si e’ rivolti alla magistratura, le parti che avrebbero "offeso" sono state totalmente scagionate. La concentrazione del potere mediatico in una sola persona che è anche a capo del governo ha minato la libertà di espressione nel nostro Paese. E’ emblematica l’anomalia tutta italiana. Fino a quando si parla di malacarne tutto è consentito, mentre il muro del silenzio si alza, quando entra in gioco il rapporto tra politica e mafia. Ovvero l’essenza e la potenza di cosa nostra. Quante volte abbiamo sentito dire: " i processi si fanno nelle aule di tribunale e non nelle piazze". Io non ho mai pensato il contrario. Certo, mi insospettisco che questa lapalissiana affermazione valga soltanto quando ad essere "processati in piazza" siano i politici. E non tutti i politici. Ci sono quelli di serie A e quelli di serie B. Una cosa è Giulio Andreotti un’altra tal Borzacchelli. Se penso, invece, allo scempio televisivo fatto su Cogne – dove una madre è stata accusata e condannata già in primo grado per l’omicidio del figlioletto Simone – in questo caso l’informazione televisiva sarebbe stata corretta, sarebbe stato tutelato il diritto-dovere di informare! I politici – e qui siamo a Palermo – pesantemente coinvolti nelle varie inchieste giudiziarie di questi ultimi anni (cito solo due esempi: il senatore a vita Giulio Andreotti e l’attuale presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro) e alcuni dei quali condannati anche a pesanti pene detentive, hanno raccolto più espressioni di solidarietà che prese di distanza dai vertici istituzionali e politici.

I magistrati della Procura di Palermo si sono trovati sul banco degli imputati.
Come dice Michele Santoro, mio amico e compagno di lavoro, morale e politica non possono dipendere dalle sentenze della magistratura ed è indubbio che il nostro non sia un paese normale perché quando il presidente della Regione Sicilia ammette d’aver chiesto i voti al ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, Angelo Siino, non succede nulla. La politica, i partiti tacciono, con la scusa che è in corso il processo. Ora, proprio perché tutti rispettiamo le sentenze della magistratura, rispettiamo anche la Cassazione quando afferma che non basta una frequentazione con mafiosi per essere condannati. Nel caso di Cuffaro l’accusa è di favoreggiamento. E sul punto delicato, l’incontro con Angelo Siino, Cuffaro si difende dicendo che non sapeva che il suo interlocutore era un mafioso. Ma quando lo ha saputo perché non si è dimesso? Per molto meno in altri paesi liberali, ministri e onorevoli, si dimettono e chiedono scusa pubblicamente. L’etica della legalità in Italia sembra svanita nel nulla. Ma c’è un’altra riflessione da fare. Da quando il legislatore ha varato provvedimenti a garanzia degli imputati, c’è più che mai bisogno della libertà di informazione. Proprio perché i processi non li fa la piazza c’è bisogno che l’opinione pubblica sia correttamente informata.

Diceva l'imprenditore palermitano Libero Grassi, assassinato dalla mafia il 29 agosto del 1991, un buon politico fa buone leggi. Un cattivo politico fa cattive leggi. Guardate alle polemiche di questi giorni con l’arresto in Sicilia, per concorso in associazione mafiosa, di un deputato regionale ed ex assessore regionale dell’Udc, David Costa, circa la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche, in una delle quali compare il nome di Pier Ferdinando Casini. Il nome del presidente della Camera accostato all’indagine di Palermo? Non mi pare ci sia nessun fumus persecutorio nei confronti della terza carica dello Stato, eppure c’è chi grida "all’offensiva politica e mediatica". L’imputato, che si definisce un pupillo di Casini, parla al telefono con il padre al quale dice che aveva incontrato Casini e che il presidente della Camera gli aveva garantito la ricandidatura. C’è un’unica domanda da porsi. E’ giusto che l’opinione pubblica lo sappia? A mio giudizio sì.

E veniamo al ruolo della televisione. La vera questione. L’Italia è il paese che legge meno in Europa e guarda più televisione. Una televisione che forma e dovrebbe informare. I dati ufficiali, fino a poco tempo fa parlavano in Europa di una media di 250 lettori di giornali per ogni 1000 abitanti. In Italia la percentuale e’ inferiore, credo che la media nazionale sia di 105. In Sicilia 52 copie ogni mille abitanti divise tra Il Giornale di Sicilia di Palermo, La Sicilia di Catania e La Gazzetta del Sud di Messina – che, anche attraverso la raccolta della pubblicità attraverso una comune concessionaria, monopolizzano e blindano il mercato. Tutti e tre sempre rigorosamente filogovernativi e moderati, in particolar modo nei confronti del governo regionale. Ma se sono veri i dati che ora leggerò circa lo stato in cui versa l’istruzione nel nostro Paese, diventa centrale, come dicevo, il ruolo della Tv. Con quale capacità critica? Siamo il paese che ha quattro milioni di laureati contro sei milioni di analfabeti. E, ancora, il 36,5 per cento degli italiani ha solo la licenza elementare, il 30,1 la licenzia media inferiore. Dunque, il 66 per cento degli italiani ha una preparazione che arriva al massimo alla scuola dell’obbligo. C’è una parte consistente del nostro Paese che guarda e crede nella televisione senza avere gli strumenti per decodificare il messaggio. "L’ha detto la Tv". Punto e basta.

E cosa sta dicendo agli italiani la televisione di oggi? Gli promette l’eldorado con i suoi reality show, con le sue isole dei famosi, i suoi grandi fratelli, le sue talpe. L’Italia della furbizia, della bellezza, della ricchezza che non c’e’. State certi che il programma di Rai Tre Report ha il pubblico nel centro e nel nord Italia. Nel Sud si guarda l’isola dei famosi. Eppure, c’erano una volta le fiction che percorrendo laparlavano di legalità, c’erano gli eroi della Piovra. Oggi, al massimo, c’e’ qualche bravo maresciallo o qualche commissario alle prese con il giallo da risolvere. La mafia, si dice, avendo abbandonato da tempo la strategia stragista di scontro diretto con lo Stato, si è inabissata e quindi non sarebbe più pericolosa, tale da mantenere alta l’attenzione da parte dell’opinione pubblica e la repressione da parte dello Stato. Le inchieste e le valutazioni degli investigatori e degli inquirenti dicono altro. Che la mafia potrebbe ben presto, se dovessero mutare alcune circostanze attuali, cambiare strategia, rompendo la "tregua". Del resto, il fallito attentato contro il giudice Sferlazza di Gela conferma la pericolosità della mafia, mentre il processo che si sta celebrando contro l’attuale presidente della Regione Sicilia, Totò Cuffaro, dimostra quanto sia sbagliato parlare di un blocco di potere politico-mafioso "sommerso". In questi anni del dopo Riina e della reggenza di Bernardo Provengano la mafia ha continuato a fare affari. A reggere i mandamenti non sono più gli uomini sporchi di sangue ma professionisti, "camici bianchi" come il dottor Guttadauro. Chi la sta raccontando questa trasformazione.

Da quanto tempo la Tv non racconta e non informa? Da quanto tempo non sentiamo più parlare di mafia, di andrangheta e di camorra se non quando le mafie ci costringono a farlo? Per essere esplicito: L’anno scorso, per esempio, a Napoli con la mattanza nei quartieri di Scampia e Secondigliano, in queste ultime settimane i riflettori si sono invece accesi in Calabria per l’omicidio del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno. Ma può bastare? Prendiamo la Sicilia: Siccome stiamo vivendo in una fase in cui la mafia non fa più stragi, non commette più omicidi "eccellenti", la percezione che se ne ricava e’ che non e’ più pericolosa. Qualche sintesi giornalistica sui cosiddetti processi che vedono sul banco degli imputati i politici (Dell’Utri, Cuffaro) e poi cronaca, la vecchia "nera". Si punta al fatto eclatante, al "sensazionale". Ormai si deve andare in libreria a comprare dvd e libro per sapere della mafia di oggi. E secondo voi, qual e’ la percezione che ne ricava un commerciante o un imprenditore che paga il pizzo? O un cittadino che vede compiere un reato? Che tutti pagano e che quindi e’ normale che lui debba pagare, che, forse, e’ il caso di convivere con la mafia. Il rischio e’ il ritorno agli anni bui, quelli della rimozione del problema, visto come appartenente a un mondo non proprio, e comunque percepito quale fonte di insicurezza e come tale da evitare.

I mezzi di comunicazione, dunque, hanno la grande responsabilità di aver ridimensionato i fenomeni criminali del nostro Paese, di averli regionalizzati, ridotti a fenomeni locali, staccati dal contesto nazionale. Non c’e’ più un ragionato punto di vista, un approccio di approfondimento sulla incandescente materia, di analisi critica della realtà e di denuncia della stessa.

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Fonte: Articolo21.info il 21-11-2005 - Categoria: Cronaca

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