In carcere da innocente, per un giorno

PACHINO – Con la rapina alla tabaccheria di via Indipendenza, Piero Lorefice, 30 anni, arrestato subito dopo il colpo, non c'entrava nulla. La sua cattura è stata un clamoroso errore. I veri banditi sono quattro persone di Modica, già identificate. Si è scoperto tutto dopo che la Polizia è risalita al proprietario della vettura a bordo della quale sono fuggiti i rapinatori.

L'auto, una Volkswagen Passat, era stata intercettata da una pattuglia del commissariato di Pachino subito dopo l'assalto alla rivendita di tabacchi, ma era sfuggita all'inseguimento. La vettura è risultata intestata a un uomo di Modica. Si tratta di una persona con la passione della velocità, essendo stato pilota di go-kart, e che in passato ha lavorato a Pachino e conosce benissimo le strade del paese. Ciò aiuta a capire come abbia fatto a seminare la Polizia.

Gli investigatori sono risaliti inizialmente al fratello minorenne del proprietario della Volkswagen Passat, che avrebbe ammesso di avere preso parte al colpo e fatto nomi dei complici, compreso quello del fratello maggiore. La comunicazione di questi risultati ha messo in subbuglio la Procura della Repubblica, dove, domenica pomeriggio, sono stati convocati poliziotti e carabinieri che si stavano occupando del caso. Rintracciati, uno dopo l'altro, anche gli altri presunti autori del colpo hanno confessato. Era evidente, a quel punto, che Pietro Lorefice non mentiva quando diceva di non sapere nulla della rapina.

Il sostituto procuratore della Repubblica Maurizio Musco non ha perso tempo a disporne la scarcerazione. Paradossalmente, in carcere non sono finiti i quattro veri autori del colpo. «Essendo ormai trascorsa la flagranza – ha spiegato il magistrato – e avendo tutti e quattro confessato, non c'erano i presupposti per rinchiuderli in carcere. Aspetteranno da persone libere il processo, che dovrebbe celebrarsi a giorni con rito direttissimo». Ma come è stato possibile il clamoroso errore costato un giorno di detenzione in carcere a Piero Lorefice. Gli inquirenti danno la colpa a una incredibile serie di clamorose coincidenze.

Tutto ha avuto origine dalla testimonianza delle vittime della rapina: i banditi non avevano potuti vederli in volto, perché indossavano passamontagna; ma il fisico, il modo di camminare e la voce di uno erano, secondo loro, quelli di un conducente di ambulanze che conoscevano bene. Indicazioni così precise hanno portato i carabinieri dritti dritti a Piero Lorefice, il quale quando si è reso conto di essere sospettato di qualcosa di grave sarebbe andato nel pallone: in un primo momento avrebbe detto di non essersi mai allontanato dal posto di lavoro; poi che all'ora di cui gli si chiedeva si era recato a casa perché aveva bisogno di andare in bagno.

La madre, però, non avrebbe confermato il suo racconto, perché non lo aveva visto rincasare, forse perché si trovava al piano di sopra. Tanti indizi alla fine hanno fatto ritenere ai carabinieri di avere messo le mani su uno dei rapinatori e anche il magistrato se ne è convinto, tanto da autorizzare l'arresto. Piero Lorefice in lacrime non si stancava di urlare la propria innocenza, ma la sua disperazione non poteva ormai evitargli il carcere. Per sua fortuna, i veri banditi non erano riusciti a volatilizzarsi. Proprio in quelle ore, infatti, la Polizia stava risalendo al proprietario dell'auto sfuggita all'inseguimento. Si era, insomma, a un passo dalla vera svolta delle indagini.
Fonte: La Gazzetta del Sud On Line il 01-10-2002 - Categoria: Cronaca

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