Il suo dongiovannismo utopico

Vitaliano Brancati, nato a Pachino, in provincia di Siracusa, ha la ventura di essere lo scrittore novecentesco più meridionale d’Italia. La sua insularità o «sicilianitudine» che dir si voglia si esprime come sensuale passione per la felicità ma anche come sguardo critico su di essa. Il suo richiamo alla grande letteratura moderna europea, nutrita di linfa illuministica, la sua disposizione al comico e all’umorismo rivelano il sostegno di una razionalità ironica, spregiudicata, anti-ideologica. Di quest’autore, indubbiamente atipico, eterodosso rispetto ai canoni imperanti nelle interpretazioni del nostro Novecento, sono stati ora riuniti insieme opportunamente romanzi e scritti saggistici in un «Meridiano» curato con puntigliosa acribia filologica da Marco Dondero e limpidamente introdotto da Giulio Ferroni (Milano, Mondadori 2003, euro 49). Al centro della narrazione di Brancati, in particolare nel celebre trittico costituito da Don Giovanni in Sicilia, Il bell’Antonio, Paolo il caldo, s’impongono come motivi dominanti il gallismo, il sesso e la donna, o più precisamente «il piacere del discorrere sulla donna». Nella sua intelligente e persuasiva introduzione Ferroni sottolinea la distonia dell’erotismo brancatiano con l’attivismo freneticamente maschilista predicato dal fascismo. La distanza, l’inappropriabilità della donna conferiscono alla figurazione dell’eros «un risvolto sottilmente utopico: nel suo avvolgersi sempre su se stesso, nel suo esaltarsi nel discorso e nel desiderio, nel vagheggiamento di inafferrabili apparizioni femminili, di una gamba che si scopre, di una chioma che ondeggia al vento, di una voce dalle sensuose risonanze, l’esistenza sembra consumarsi nella passività dell’attesa, della dilazione, del rinvio». La dimensione altra (rispetto al priapismo di specie fascista) del dongiovannismo messo in scena nell’universo narrativo di Brancati finisce con disvelare, sostiene ancora Ferroni, «una fortissima carica politica: e non è un caso allora se Il bell’Antonio arriva ad approfondire paradossalmente il rapporto tra eros e passività affrontando il tema dell’impotenza, nel quadro del delirio e della volontà di potenza (anche erotica) del fascismo e del suo capo».

Le tonalità cupe e amare, già affioranti ne Il bell’Antonio, si radicalizzano con Paolo il caldo, in cui la tematica erotica, coniugandosi con l’ossessione della morte, si declina come autodistruttiva «lussuria», ferina «tetraggine». Su Brancati agisce indubbiamente la teoria leopardiana del piacere, in cui la felicità è identificata con la lontananza del passato o con la virtualità del futuro, con la rimembranza e il desiderio, mai collocata dunque nella concretezza dell’attualità. L’impossibilità di possedere nel presente la felicità, il riattingimento di essa solo in quanto memoria di un oggetto perduto predispongono la scrittura di Brancati ad una descrittività precisa, tersa, accuratissima nei dettagli ed insieme elusiva, sinuosamente torbida, chiaroscurale. L’esito è una sorta di delicato e leggero barocchismo. Anche la produzione saggistica dello scrittore siciliano, governata dai modi paradossali e divaganti di un’appassionata ragione, ruota intorno alla tematica di un edonismo fortemente satirico nei confronti del «nero presente», delle mistificazioni della società contemporanea. La latitanza della felicità dal teatro del mondo impone l’impegno etico di evocarne strenuamente la possibilità. In un delizioso libretto pubblicato nel 1943, intitolato I piaceri (parole all’orecchio) in cui Brancati con acuta perspicacia antropologica osserva miti e illusioni dell’immaginario collettivo, si legge: «Una delle condizioni più misere delle epoche infelici, non è di rimpiangere vanamente la felicità, ma di averla totalmente dimenticata. Immaginate che nel mondo per cento anni il cielo sia coperto di nuvole; tutti si saranno accostumati a un giorno tenebroso poco meno della notte: sarà allora che l’intera umanità dovrà vegliare premurosa attorno al vecchio di centodue anni, l’unico che ricordi la luce del sole. Che questo vecchio viva il più a lungo possibile! Con lui vive il ricordo della luce, vivono la speranza e il desiderio di rivederla. Con lui perirebbe un bene comune».

Antonio Saccone
Fonte: Il Mattino On Line il 27-10-2003 - Categoria: Cultura e spettacolo

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Il Don Giovanni reale della distruzione della nostra cultura e tradizione locale.

La materia è molto vasta. E non basterà sicuramente questa breve riflessione per fare un quadro della complessa, ma importantissima, opera letteraria di Vitaliano Brancati. Ne io ho mai avuto la pretesa di poterla anche in minima parte rappresentare, tanto essa è vasta ed articolata. Sono dovuti passare molti anni affinchè si capisse per intero l'importanza della sua opera. Di tanto in tanto leggo qualche suo scritto e mi ritrovo nella sua encomiabile scrittura che per paragone illustra e fà brillare la memoria del lettore in raffigurazioni sceniche che rimandano a quadri pittorici e ambientazioni temporali della nostra Pachino e del suo territorio. Significativo è il passaggio quando vuole illustrare le guance arrossate di un uomo davanti alla vergogna. E, il nostro, "Vitaliano", per paragone le lascia intravvedere nel rossore delle pesche che aspettano la Primavera per diventare tali. Ho voluto introdurre questa circostanza letteraria per ricordare, nel contesto urbano di Pachino, la casa dove naque Vitaliano Brancati. E cosa che mi ricordo dall'infanzia ero affascinato da quella lapide che illustrava il lieto e il cattivo evento.(data di Nascita e di Morte) Di tanto in tanto ci passavo da quella strada e ogni volta avevo dentro di me un fermento di orgoglio. Poi passati gli anni della gioventù e del liceo dopo la laurea sono tornato a Pachino. Ho incominciato ad interessarmi delle cose che avevo studiato all'Università e ho cercato di mutuarle nell'ambito della società locale creando innovazione di idee e recupero dell'architettura e più in generale delle nostre tradizioni e della nostra cultura locale. In questo contesto non poteva mancare l'enorme interesse per Vitaliano Brancati. Infatti quelle pochissime volte che sono dovuto andare, per motivi professionali, in Pretura mi sono ricordato che quella era la stessa strada della casa dove nacque Vitaliano Brancati. Non cera più!!!!!!!O mi sbaglio????
Cordiali Saluti.
Spiros.
p.s. Sarebbe interessante sapere che fine ha fatto la lapide.