«Il rilancio della tonnara può fare decollare il turismo della zona»

«Il rilancio della tonnara può fare decollare il turismo della zona» PORTOPALO - La vendita della tonnara di Capo Passero e del castello Tafuri ad una cordata tedesca, della quale farebbe parte anche Michael Schumacher, ha ovviamente tenuto banco ieri a Portopalo.
Dagli ambienti vicini alla proprietà tutto tace. Qualcuno ha tentato timidamente di smentire lo stato avanzato delle trattative ma «i soliti bene informati» ribadiscono che quanto trapelato in questi giorni e pubblicato corrisponde al vero. Anzi, pare che nei prossimi giorni alcuni rappresentanti di questa cordata tedesca saranno a Portopalo per incontrarsi con le istituzioni locali. Ma anche in questo caso, data la rilevanza e delicatezza della situazione, le bocche restano cucite e, alle richieste di conferma o smentita si risponde, nella migliore delle ipotesi, con sorrisi di circostanza. A Portopalo le reazioni sono state di sorpresa ma anche di speranza. Si spera in un rilancio a breve termine del turismo che potrebbe trovare un volano molto importante nell'accoppiata tonnara-castello. «Il rilancio della struttura della tonnara di Capo Passero – afferma Sebastiano, commerciante portopalese – potrebbe rappresentare finalmente lo sdoganamento della stagione turistica oltre il periodo estivo in cui è confinata da tanti anni. Visto il clima che abbiamo e con iniziative mirate, che avrebbero nella tradizione della tonnara un valore aggiunto di grande spicco, si potrebbe estendere il periodo di afflusso turistico nel nostro territorio almeno per cinque o sei mesi. Sarebbe la consacrazione del settore turistico come un vero caposaldo dell'economia locale e tutto il comprensorio ne trarrebbe giovamento».

Qualche anziano pescatore ricorda quello che la tonnara ha rappresentato per Portopalo: «Di sicuro la storia ha la sua importanza e tante famiglie portopalesi devono essere grate ai Bruno di Belmonte che con la tonnara hanno dato loro lavoro e sostentamento. Ma da troppi anni attendiamo un rilancio di questa struttura e, se questo rilancio deve passare da questi investitori tedeschi, che ben venga».
Il timore è che tutto finisca in una bolla di sapone. Alcuni anni fa sembrava tutto pronto per il rilancio attraverso finanziamenti europei e un progetto che mirava alla creazione di un parco letterario della tonnara. Poi venne il periodo del tentativo di «monumentalizzazione», caduto nel dimenticatoio. «Dopo le indiscrezioni sull'acquisto del castello Tafuri – afferma un giovane del posto – nessuno ha smentito. Del resto, a pensarci bene è più realistica l'ipotesi di un investimento di gruppo che un'iniziativa di un solo soggetto, anche se risponde al nome di un multimilionario in euro, come l'ex campione del Cavallino rampante. Speriamo che, al di là dell'identità dei proprietari, si possa finalmente avere un rilancio effettivo e in tempi certi di questo complesso dall'alta valenza storica, che potrà far decollare questo territorio, che nulla ha da invidiare ad altri centri turistici oggi più conosciuti». Il sindaco di Portopalo, Fernando Cammisuli, ha puntato molto sul rilancio turistico del territorio. Un rilancio che ha registrato altri passaggi, come il restauro della fortezza dell'Isola di Capo Passero e la realizzazione del parco archeologico di contrada Cicogna. Progetti realizzati in collaborazione con la Provincia di Siracusa e la Soprintendenza ai Beni culturali aretusea. Sulla vicenda tonnara non ha nulla da dire. «Da sindaco di Portopalo posso solo sottolineare che ogni iniziativa privata, volta a creare sviluppo sul territorio, è naturalmente bene accetta. Di sicuro seguiamo con molta attenzione questa vicenda», ha affermato. Sul fronte della trattativa per l'acquisto del castello Tafuri nulla è trapelato. I proprietari (la famiglia pachinese dei Tafuri, che negli anni Sessanta acquistarono il castello dai Bruno di Belmonte, che lo avevano fatto costruire a metà degli anni Trenta) si sono trincerati nel silenzio, scegliendo di non replicare alle indiscrezioni che hanno trovato ampio risalto sugli organi di stampa anche a diffusione internazionale. Ma anche in questo caso sembra un silenzio di attesa più che di smentita. Di sicuro, Schumacher è stato più volte a Portopalo in estate e la moglie dell'ex campione del mondo di Formula Uno è rimasta affascinata da questi posti ancora incontaminati.

SERGIO TACCONE
Fonte: LaSicilia.it il 29-09-2008 - Categoria: Cronaca

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LUIGI BRUNO DI BELMONTE

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IL VECCHIO RAIS

Era uno dei primi giorni della lunga estate siciliana che va da aprile a ottobre e il piccolo villaggio di case bianche e azzurre e rosa sporco, soggiaceva sotto il peso della luce che dilagava. Nulla poteva nascondersi a quella luce. Solo le ombre osavano sostenere il confronto con la luce, anche se era da questa che prendevano forza Ogni cosa restava attaccata alla propria ombra come una foto al suo negativo, ogni creatura vivente cercava protezione dalla luce, e l’ombra era spesso una proiezione irraggiungibile. Gli unici dettagli che alteravano la monotonia albicante erano i volti scuri delle donne vestite di nero che qua e là si affacciavano dagli usci socchiusi e il prete che dalla chiesa attraversava veloce la strada per andare alla canonica, sempre seguito dal grosso cane nero che si chiamava Amen.
Nel porticciolo le barche aspettavano fra onde ormai troppo pigre per rompersi sulle chiglie.
Tutto e tutti attendevano la fine dell’assedio della luce. Bisognava che andasse via: allora gli uomini si sarebbero destati dal sonnecchiare e dato mano agli attrezzi della pesca, le donne avrebbero messe le sedie davanti agli usci di casa, e vi si sarebbero sedute intente a rammendare vesti col filo ancestrale del pettegolezzo, l’ufficiale postale si sarebbe visto in giro a distribuire la posta, il prete sarebbe riuscito dalla canonica diretto alla chiesa seguito come al solito dal grosso cane nero che si chiamava Amen. Il postino distribuiva la posta che veniva dall’America o dall’Australia. Ogni casa del piccolo pese di Palopò era una piccola ambasciata d’America o d’Australia. Era il prete che leggeva la posta e una volta la settimana la scriveva restando dentro al confessionale, per proteggere l’identità di coloro che dovevano rispondere... Ma inevitabilmente il contenuto della posta arrivava alle donne che davanti agli usci tessevano e rammendavano, cucivano e ricucivano.
La casa del rais Tano era l’ultima in fondo alla discesa che portava al porticciolo: il mare e il rais Tano avevano vissuto assieme da tanti anni ormai. Anche nella casetta il vecchio e il mare abitavano assieme: tutto era impregnato di salso, tutto sapeva di mare.
Di fronte alla casa il vecchio teneva la barca la cui prua entrava e usciva dal vano della finestra a seconda del vento. Se c’era mare quando tornava dalla pesca la tirava sullo spiazzo dinanzi alla casa e la chiglia vi aveva scavato un solco e spingerla in acqua o tirarla in secco non era più faticoso. Daltronde per il vecchio la fatica era ormai una bestiaccia che per le tante volte che aveva tentato di azzannarlo altrettante lui l’aveva vinta e le aveva riso in faccia. Era un uomo grande, la forza distribuita equamente su tutto il corpo e per questa sua forza infinita aveva sempre potuto vincere sulla fatica e riderci sopra.
Trentanni era stato marinaio alla Tonnara Grande e per dieci ne era stato il rais. Poi, un giorno, quelli dell’Amministrazione decisero di cambiare il sistema di pesca; sostituirono le reti di cocco con quelle di nylon, licenziarono i lenzisti e li sostituirono con complicati strumenti elettronici che avrebbero dovuto individuare i banchi di pesce a profondità maggiori. Infine trovarono opportuno calare le reti pù verso terra. Questo perché, dicevano, le correnti avrebbero danneggiato meno le reti.
La Tonnara Grande era una bella tonnara, la più pescosa delle tante disseminate lungo la costa, ma proprio per via della sua posizione così estrema nel mare era molto esposta alle correnti. Non era facile calare le reti perché le correnti, soprattutto quella di ponente, quella che chiamavano del ‘ladrone’, non perdonava mai.
Rais Tano si oppose alla decisione di abbandonare l’antico letto per rientrare più verso terra. Lui era addirittura del parere che bisognava portarsi più in fuori, molto più in fuori se si voleva continuare a pescare i tonni.
"Il letto della tonnara non è più questo e tanto meno quello che sceglierete voi. E’ là, fuori," egli diceva indicando un punto all’orizzonte. "Il sole quando tramonta dev’essere in riga col campanile della Madonna e il faro di Capo Rais." Era convinto che sarebbe riuscito a calare la tonnara in un certo modo per cui le correnti, anche se più forti, avrebbero avuto poca presa. Ma quelli dell’Amministrazione non ne vollero sapere e anzi gli risero in faccia e gli dissero che le sue erano concezioni azzardate e lo licenziarono.
Altre amministrazioni di altre tonnare gli offrirono di andare come rais, ma lui che era stato rais della Tonnara Grande, non se la sentì di andare a comandare in una delle tante piccole tonnare della costa, di quelle di cui aveva sempre riso col suo modo un po sornione che aveva quando rideva delle cose di poco conto. Preferì tornare alla sua barca e continuare a guadagnarsi da vivere calando nasse e tramagli. Conosceva bene la costa e gli scogli dove si nascondevano i pesci.. Ma soffrì molto perché un rais, un grande rais com’era stato lui, ama sempre la sua tonnara. Come per un uccello l’aria è la vita e per un pesce l’acqua è la vita, così per un rais la tonnara è la vita.
Ogni volta che tornava dalla pesca chiedeva sempre: "Quanti pesci ha preso oggi la tonnara?" Per pesci i tonnaroti intendevano i tonni, ma anche la villaggio per via della vicinanza alla tonnara per pesci s’intendevano i tonni.

Ma le innovazioni, i nuovi sistemi di pesca, la diversa collocazione dei tramagli non portarono i miglioramenti sperati e le correnti sempre più aggressive continuarono a danneggiare gli apparati di pesca.
Anche al villaggio gli uomini avevano ormai persa la fiducia nella tonnara e preferirono prendere il mare sui pescherecci o vivere alla giornata calando le nasse o le lenze col pesce vivo. Così quelli della Amministrazione col tempo si trovarono a dovere reclutare la ciurma fra i contadini disoccupati delle campagne i quali non s’intendevano di cose di mare e ciò complicò ulteriormente la situazione.
Se da una parte il vecchio era contento che i nuovi sistemi non avessero portato i risultati sperati, dall’altra temeva che il continuo peggioramento delle cose potesse indurre i proprietari a chiudere. Tante tonnare in quegli anni erano saltate lungo le coste dell’isola. La Tonnara Grande era la Tonnara Grande, ma lo stesso, se non pescava avrebbe fatta una medesima fine.
"I tonni passano là, fuori. Il sole quando tramonta dev’essere in riga col campanile della Madonna e il faro di Capo Rais.. E’ là che passano i tonni." Il vecchio lo continuava a ripetere mentre remava le ultime precise bracciate di una giornata sulla scogliera.

"Zio Tano, zio Tano" Già dall’inizio della discesa Turiddu, il figlio dell’ufficiale postale, urlava a squarciagola il nome del vecchio. "Vi vogliono! Alla tonnara! Alla tonnara! L’Amministrazione..."
Il vecchio stava rattoppando una vela. "Ora vengo, calma. Tieni, aiutami a ripiegare la vela." Insieme il vecchio e il ragazzo poggiarono l’albero di traverso alla barca ed uno da una parte, uno dall’altra, vi avvolsero la vela. Poi il vecchio appoggiò l’albero contro il muro della casa.
"Che fai, Turuzzo, sei andato a pescare?"
"Sì, ma perché non mi portate più con voi? Ormai sono forte abbastanza per stare tutta la giornata a mare. Non c‘è più un polipo sulla scogliera."
"Ah ecco perché non ne trovo più da queste parti. Ho fatto un bel lavoro ad insegnarti ad usare la fiocina."
"Per voi, zio Tano, ne ho sempre qualcuno. Tenete." Turuzzo sciolse da dietro la cintura un fazzoletto annodato in quattro nocche e lo porse al vecchio.
"Meno male. Mettilo lì in quella pentola. Lo cuciniamo quando torniamo dalla tonnara. T’invito a colazione."
"Perché, portate anche me alla tonnara?"
"Non vuoi venire?"
"Sì, sì. Sapete che lì all’Amministrazione non vogliono bambini."
"Se mi hanno mandato a chiamare vuol dire che mi rivogliono. Perciò non diranno nulla se starai con me. E poi adesso la tonnara non è in pesca e non c’è pericolo nemmeno per i marinai coi piedi asciutti come te.
"Zio Tano, voi scherzate sempre."
Si erano incamminati lungo la salita che portava fuori dal paese verso gli stabilimenti della tonnara. Il vecchio camminava col suo passo lungo e il ragazzetto per ogni passo ne doveva fare due e gli arrancava accanto mentre le loro ombre si accorciavano e si allungavano sui sassi bianchi della trazzera anch’essa bianca e polverosa.
"Lo sapete, zio Tano, che il cavaliere è tornato. Pare che sarà lui ad amministrare quest’anno. Suo nipote se n’è tornato in città."
Il vecchio lo aveva sempre sperato che le redini dell’amministrazione tornassero nelle mani del cavaliere Felice. Lui e il cavaliere avevano la stessa età ed entrambi guardavano al mare allo stesso modo.
"Se il cavaliere è tornato è una buona cosa. Forse si ricomincerà a prendere i tonni."
"E se si ricomincerà a prendere i tonni mi porterete con voi, vero, zio Tano? Vi terrò la barca come nà mojera e non avrete mai di che lamentarvi."
"E se t’insegnerò come ammazzare i tonni anche quelli faranno la stessa fine dei polipi. Marinaio dai piedi asciutti..."
"Diventerò un grande ammazzatore! Diventerò un grande ammazzatore!"
Il vecchio rise col suo modo un po sornione che aveva quando rideva delle cose di poco conto.
Su loro che camminavano, sulle cose che soggiacevano sotto il peso del caldo, il sole inchiodava i suoi raggi dal centro di un’immensa ragnatela di luce.

Fra il villaggio e gli stabilimenti si ergeva un promontorio grigio di roccia lavica e su di esso la Marina Italiana aveva eretto un faro. Al di là di questo una piccola valle si stendeva fra rovi e dirupi fino al mare e oltre alla valle un gruppo di case bianche unite l’una all’altra in quel modo un po ubriaco che hanno le case di mare. Al di là di queste i vasti magazzini dove si conservavano i pesci, poi la piccola chiesa col suo esile campanile la cui punta non terminava con una croce ma con una sagoma di pesce spada. Forse perché là in fondo il pesce spada veniva venerato quanto Dio.
Era lì che sorgeva l’edificio dell’Amministrazione, un edificio più alto con una gran terrazza che si protendeva dal frammentato perimetro della scogliera.
In quei primi giorni dell’estate cominciavano come ogni anno i preparativi per il calo della tonnara Le donne lavoravano a rammendare le reti e stenderle al sole; gli uomini passavano in rassegna i ferri, i cavi d’acciaio e le boe di galleggiamento, le riparavano e le annerivano di pece. Altri lavoravano al barchereccio: chi calatafava, chi stuccava le discrepanze partorite dal vecchio legname. Le ‘muciare ‘ e gli ‘ scieri’, così si chiamavano le barche delle tonnare, venivano rimesse a nuovo come ogni anno e qua là i calderoni della pece ribollivano arroventando l’aria con il loro ulteriore supporto di calore. Altri ancora ergevano una grande tettoia di canne che doveva ombreggiare l’imbarcadero doveva venivano sbarcati i tonni.
Un grosso cane nero corse incontro al vecchio e al ragazzo che scendevano lungo l’ultimo pezzo di trazzera già affiancato dalle case ubriache dei pescatori che per reggersi pareva che avessero bisogno l’una dell’altra.
"Rais, sapete come si chiama questo cane?"
"Cane, come si deve chiamare?"
"Ah, ah." Il ragazzetto rise contento di sapere qualcosa che il vecchio non sapesse. "Lo sapevo che non lo sapevate. "Si chiama ‘Così’. Ed ora vi spiego anche perché si chiama ‘Così’. E il figlio di Amen, il cane di don Pepé, il reverendo. E’ stato don Pepé a regalare un cucciolo all’Amministrazione. Qualcuno per scherzo lo volle chiamare CosìSia. Poi il nome era troppo lungo ed è rimasto Così. Bello, Così, sei diventato proprio un canone...."
"Quante ne dici, Turuzzo. Chiamare un cane Amen ed uno CosìSia. Ma che devono servire messa!"
"Salute rais!"
"Salute Calogero. Salutiamo Carmelo."
"Oh, il rais Tano!"
"Salute donna Rita. Che c’è, m’avevate dato per morto? Siete così sorpresa."
"Che dite, rais?"
Altre donne salutavano in quel modo corale che affrancava ognuna da l’intimità che un salutare singolo comportava.
Attorno alla figura alta del rais che avanzava ora sulla piazzetta convergeva l’animazione della comunità e tutti volgevano verso di lui lo sguardo e accorrevano a salutarlo, anche quelli che venivano dalle campagne e non lo conoscevano ma ne avevano sentito parlare.
Ritornare, ritrovare quei profili di tetti, rivedere il mare che da quel punto pareva più aperto che non quello ristretto nel porticciolo davanti alla sua casa, ma soprattutto risentire il suo nome sulla bocca dei marinai come nella propagazione di un’eco, tutto ciò era per lui la vita. Forse anche l’amore.
"Voscenza benedica, cavaliere," salutò il rais quando varcò la soglia dove si tenevano tutte le discussioni che avevano sapore di tonno.
"Salute Tano." L’uomo che aveva parlato era alto quanto il rais e per una strana analogia dei lineamenti, si somigliavano.
"Ben tornata voscenza. Sta bene ora?"
"Sto bene rais. Come può stare bene un vecchio. Ma è la tonnara che è malata."
Seguì un attimo di silenzio. I due uomini, entrambi vecchi, entrambi pesci, entrambi mare fissavano ora lo sguardo sulla sinfonia d’indaco che si stendeva oltre la terrazza da dove di tanto in tanto proveniva il lieve rintocco della campana con la quale si annunciavano le mattanze di cento tonni.
"La Tonnara Grande non morirà, cavaliere."
"Non so. Ormai è tutta sulle mie spalle. La famiglia l’ha abbandonata e le mie sono spalle di un vecchio. Ma preferisco di morire in tonnara e anziché in quelle città del nord dove é morte ogni cosa che vedo in ogni giornata."
"La tonnara deve stare nelle mani di chi l’ama e di chi ne capisce e vedrà che tornerà a pescare."
"Sarà l’ultimo tentativo, rais. Se dovesse fallire non potrei certo pensare di calarla di nuovo l’anno prossimo. Non mi resterà che sedermi sulla terrazza a ricordarmi delle grande giornate di pesca di una volta. Daltronde anche in città facevo così. Ma lì non potevo sentire il mare e mi sentivo solo."
"E’ per via della confusione nelle città Sulla mia barca non mi sento mai solo. Alla fiera, in mezzo alla gente, allora mi sento solo. Ma parliamo di pesca cavaliere."
"Già. Parliamo di pesca."
"Voscenza cosa pensa?"
I due uomini che si somigliavano si fissarono negli occhi.
"Conosco il tuo pensiero, Tano. Hai sempre voluto andare più in fuori. Ma quanto reggeremo la fuori?"
"Forse reggeremo meno, ma fino a quando reggeremo pescheremo i tonni."
"E’ la corrente del ladrone....senza la protezione dell’isola dei Conigli ci spazzerà via..."
"Bisognerà calare in un modo più obliquo e cercare di non offrire il fianco. L’apparato inoltre dev’essere più flessibile. Comunque resisteremo meno, ma se vogliamo rivedere i tonni dobbiamo andare là fuori."
Il vecchio marinaio e il cavaliere rimasero fino a tardi a disegnare su un foglio lo schema della ‘leva’. Il rais spiegò come intendeva calare le rete e come disporre le boe di galleggiamento che avrebbero dovuto venire raddoppiate. Anche l’orientamento della ‘camera della morte’ doveva essere diverso.
Si salutarono che era quasi notte e il mare era già percorso dai bagliori che piovevano dalle stelle al punto da creare quasi una luminosità parallela del cielo e del mare.
Quando tornò a casa il vecchio trovò il polipo già bollito. Il bambino era tornato prima e l’aveva fatto bollire. Poi se n’era andato.
"Turiddu, sei un bravo picciotto e un giorno anche te sarai un bravo tonnaroto. Quest’anno se tua madre dà il permesso ti porterò con me sulla mia ‘muciara’. Non potrai ancora ammazzare. Per quello sei ancora piccolo. Ma t’insegnerò a tirare sulla rete. E’ sulla rete che si fanno le braccia." Il vecchio amava quel bambino che non era suo, ma che gli apparteneva perché anche quel bambino apparteneva al mare.
Parlava ad alta voce quando era in casa o in barca. La solitudine lo aveva portato a questa abitudine. Ormai erano tanti anni che era solo. Quando si decideva di pescare sui fondali della costa si portava appresso il ragazzo, ma allora, quando stava col ragazzo, non parlava, tranne per riprenderlo se lo vedeva innescare male un’esca o impugnare male la fiocina. Ma certi discorsi, quelli col mare e i pesci li teneva per quando era solo.
Andò fuori a controllare il vento. Lo faceva sempre prima di andarsene a dormire.

Il giorno dopo il rais si svegliò che era ancora buio. Turiddo era fuori che riempiva la quartara. L’acqua era la prima cosa di cui ci si doveva ricordare prima di andare amare.
"Andiamo Turiddu, a quest’ora i pesci sono già tutti svegli e se li dobbiamo fregare dobbiamo farlo prima che ci vedano con la luce del giorno." Ma poi quel giorno non doveva andare a pescare. Era stato stabilito che si sarebbe recato a fare un sopralluogo per stabilire dove si sarebbe dovuto calare la nuova tonnara.
Rizzarono l’albero, gettarono le ‘coffe’ col mangiare a bordo e saltarono in barca.
L’isolotto dei Conigli era una piccola striscia di roccia e terra riarsa dove veniva conservato il barchereccio della tonnara durante l’inverno. Era lì dove venivano conservate le grosse ancore e i relativi cavi d’acciaio. Già alcuni uomini vi armeggiavano attorno.
Il vecchio rimetteva piede sull’isola dopo molti anni e gli sembrò di rimbalzare indietro nel tempo. Contò prima le ancore e da loro numero calcolò quante boe sarebbero state necessarie. Ce ne sarebbero volute molte di più. Poi guardò gli uomini. Alcuni li conosceva, ma molti erano nuovi e da come si muovevano capì che non erano buoni marinai. Gli bastava vedere come camminavano per capire se erano marinai o solo degli zappatori delle campagne.
Lasciò la sua barca al ragazzo perché se ne andasse a pesca sulla scogliera dell’isolotto e quindi saltò sulla sua vecchia ‘muciara’ e remò verso il largo. La muciara era grossa e pesante, ma ben bilanciata e sotto le bracciate del vecchio fendeva l’acqua veloce: Erano tanti anni che non vi era più salito e fu come ritrovare una vecchia poltrona.
Un falco proprio sulla sua perpendicolare lasciava cadere la propria sull’interno bianco della barca.
"Tu, lassù, me lo potresti dire se vedi i tonni. Già dovrebbero passare. Ho sentito dire che si sono trovati un nuovo rais che ha insegnato loro un’altra rotta. Li capisco. Hanno fatto bene ad allontanarsi dalla costa. Ci sono troppe barche che perdono nafta, troppi scarichi e forse per questo che si sono trovati un rais che li sa guidare in acque più pulite. Mi piacerebbe vederti, rais tonno. Ti vedrò, ti vedrò e tu vedrai me."
Il falco nel cielo piegò d’ala e scese in picchiata, entrò fin in acqua e ne riuscì con una piccola preda fra gli artigli.
"Sarebbe facile prenderti. Basterebbe innescare un’occhiata sotto pelle e tu abboccheresti come un fesso. Ma sei duro e non servi a niente. Il rais tonno....Mah, forse me lo sono sognato."
Aveva doppiato la punta dell’isolotto ed era già molto al largo rispetto alla costa. Ogni tanto si fermava e si osservava d’intorno. Cercava dei punti di riferimento, guardava l’acqua di un blu intenso quasi viola e poi riprendeva a vogare.
"Non ci siamo....Ma il punto non dovrebbe essere lontano. Il sole quando tramonta dev’essere in linea...Dove mettere lo ‘sciere di Capo Rais’ quello è il problema. Ma i problemi sono tanti. Lo so...Ma ormai siamo vicini."
Si era alzato del vento dalla parte di Greco e il vecchio capì di dovere forzare di più sui remi per mantenere la direzione. Il vento di grecale in quel periodo era caldo e i raggi del sole ci si perdevano dentro come i biscotti che inzuppava nel vino. Così pensava il rais che quando faceva paragoni li faceva sempre con le cose che gli erano familiari.
"Ho dimenticato di portarmi la quartara con l’acqua. L’ho lasciata sulla mia barca. Chissà se il ragazzo ha preso qualche polipo...Ancora un quarto di miglio...Il cavaliere mi sta seguendo con il suo cannocchiale che sembra un trombone...."
Ora non parlava più ad alta voce. Teneva gli occhi socchiusi per spogliare il sole dei suoi raggi. Ma era anche il suo modo per difendersi dall’assalto del passato. Un assalto che arrivava all’improvviso dai recessi della memoria. Ricordava la sua giovinezza, suo padre, sua madre, i suoi fratelli, la sua prima sortita sul mare, il suo primo pesce...un evento quasi simile ad una laurea. Si ricordava della guerra. Ma non avrebbe potuto mettere delle date a questi eventi. Aveva fatto due guerre. In una aveva avuto i tedeschi come nemici e in un’altra come alleata e faceva sempre una gran confusione. Credeva che la seconda guerra mondiale fosse finita a Caporetto. Ma non aveva importanza, lui apparteneva al marere quello che accadeva sulla terra ferma in fondo non lo aveva mai interessato .Anche l’amore era qualcosa che apparteneva alla terra. Sua moglie non era mai venuta con lui sul mare. A stento ricordava come fosse prima che il tempo le avesse corroso il viso. Vi aveva sempre fatto l’amore al buio.I suoi figli erano tutti partiti per l’America. America, America, si erano innamorati dell’America ancora prima di arrivarci. Quando arrivò il turno del suo ultimo figlio sua moglie partì subito dopo averlo accompagnato alla nave. Queste erano state tutte cose che erano accadute sulla terra ed era per questo che preferiva il mare. Solo sul mare si sentiva al riparo dal dolore. "America, America," si ripeteva spesso. I suoi figli volevano che li raggiungesse, ma ormai aveva sviluppato una filosofia che non era priva di una certa bellezza.
Ormai aveva imparato a non aspettare più niente Cosa voleva dire aspettare?
Si bagnò le mani perché i remi della muciara erano più grossi di quelli della sua barca ed ora le mani gli bruciavano.
"E’ qui il punto," disse questa volta ad alta voce. "Qui comincia e da qui continua. Mah? almeno per un chilometro. Ma è qui dove comincia. Rais tonno, io il mio mare lo conosco quanto te." In cuor suo credeva di avere stabilito una sfida e quando parlava del mare diceva sempre il suo mare perché credeva di possederlo ormai.
Da quel punto la costa gli parve lontanissima, sembrava solo una striscia offuscata da una cortina bluastra di nebbia.
Rizzò due canne, le incurvò e vi stese sopra una lenzuolo. Poi si bagnò la testa e si sdraio sul fondo della barca. Lì tolse un pannello di legno che proteggeva una spessa lastra di cristallo da dove si poteva guardare il fondo. Con la barca ombrata questo gli parve come un immenso prisma di luce tagliato in maniera perfetta dai raggi del sole. Quante ore trascorse così? Forse si addormentò poiché quando si sveglio il vento di grecale era salito e il sole gli veniva a ponente. Quando si mise ai remi ringraziò il vento che gli assaliva le spalle facendo andare la muciara molto più veloce. Ma lo ringraziò solo col pensiero perché aveva la bocca troppo asciutta per parlare.

Rientrò che anche gli uomini dell’isolotto erano rientrati e le prime luci penzolavano sugli usci delle case.
Turiddo aspettava all’imbarcadero assieme al grande cane nero. Il ragazzo prese in consegna la muciara troppo grande per poterla governare e si limitò ad assicurarne una cima al molo.
"Assicurala bene, marinaio dai piedi asciutti...."
"Non dubitate rais, il grecale non monterà."
Il vecchio scosse la testa, ma in cuor suo fu contento che il ragazzo se ne intendeva di mare perché anche egli era convinto che di lì a poco il grecale sarebbe sceso.
Il cavaliere Felice aveva visto il rais arrivare ed era curioso di conoscere l’esito di quella ricognizione. Lo aveva sempre tenuto d’occhio e dentro di sé aveva spesso borbottato, obbiettato e anche condiviso a volte, ma ora voleva sapere, interrogare e sentire il suo rais. Passeggiava nervoso sulla terrazza passandosi la mano sulla punta della barba e osservava il rais che sembrava distaccarsi dalla muciara e salire verso la piazzetta con una lentezza esasperante.
Finalmente si sentirono i passi su per le scale e infine la figura poderosa del vecchio si stagliò nel vano della porta.
Il cavaliere nel vederlo fu contento di averlo richiamato alla guida delle Tonnara Grande. Il progresso era il progresso, ma l’esperienza era l’esperienza.
"Salutiamo rais Tano."
"Voscenza benedica, cavaliere."
Don Luigi, preparate il caffé e chiudete la porta."
"Voscenza sì," fece un anziano cameriere dall’aspetto di un pesce di scoglio inglobato in quella zona ibrida della cucina dove i pesci trovavano nuovi connotati fra pentole e tegami.
Quando l’uomo-triglia sparì nel proprio emisfero, il cavaliere si fece dappresso al rais e senza parlare si limitò ad interrogarlo con gli occhi.
"Ho trovato il posto, voscenza. Anzi l’ho ritrovato" disse il rais mentre cercava di pizzicare nel fondo di una tasca un po di tabacco annidatosi fra il coltello ed alcune monete.
"Ne siete sicuro Tano" domandò il cavaliere cercando di scoprire la verità della verità fino in fondo ed in tale tentativo socchiudeva gli occhi fissando il marinaio come questi fissava il sole quando gli batteva sul viso.
"E’ là il punto," ribatté il rais allungando un braccio in direzione dell’orizzonte.
"E il fondale?"
"Sabbia e scogli, sabbia e scoglio."
Il cavaliere continuava a scrutare il rais e a questi lo sguardo del cavaliere dava più fastidio del sole perché entrava dentro, scavalcava le pupille e s’inchiodava sul cuore. Ma il vecchio sapeva di avere vinto: Finalmente avrebbe potuto calare la tonnara là nel punto dove aveva sempre voluto.

Vi furono il reclutamento degli uomini, quaranta in tutto, tutti scelti personalmente dal rais e il collaudo dei materiali e le discussioni col cavaliere e l’attesa per la bonaccia di corrente. Per calare ‘la leva’ era necessario di una giornata di calma assoluta di corrente. Lì al largo le correnti potevano spingere in direzioni completamente opposte sovrapponendosi su diversi piani. Vi fu una settimana in cui la corrente del ladrone spazzò via tutte le altre correnti e restò a spingere sotto il pelo dell’acqua. Ogni giorno il rais andava a mare e restava ore a guardare giù verso il fondo. Questo mentre in superficie il mare era assolutamente calmo per via dell’assenza di vento. Gli uomini sul grande sciere attendevano sonnecchiando sotto i grandi cappelli di paglia. Non c’era che pregare. Il vecchio non credeva in Dio, ma a mare si pregava il mare. Nessuno poteva controllare il mare. D’altra parte il vecchio credeva in Gesù Cristo ma no credeva in Dio. Questo perché Gesù era stato pescatore. Sta di fatto che dopo la sua preghiera la corrente abbonacciò.
"Lo sapevo...volevi che ti pregassi. Sei grande e sei forte e hai il diritto che ti si preghi. Grazie" disse fra sé e poi rivolto agli uomini: "Allestimo!" La sua voce tuonò come doveva saper tuonare la voce di un rais e scosse gli uomini proprio come se un tuono avesse rimbombato sul mare.
"Bonaccia...." urlò Turiddo quel giorno anche lui sullo sciere.
La bonaccia durò due giorni e in due giorni tutta l’immensa ‘leva’ venne fissata sui fondali e due ore dopo la Tonnara Grande era in pesca. Lo sciere di Capo Rais col segnale bianco e rosso della tonnara e quello di ‘levare’ con gli uomini con le minnelle uncinate e le muciare erano tutti al proprio posto definitivo. Nera e precisa la tonnara apparve come un lungo rosario poggiato sul mare. Il rais ordinò la levata di prova e il sole sul declino di quel suo giornaliero trionfo, illuminò quei primi sforzi degli uomini sulla rete. Il vecchio guardò la sua tonnara e ne fu soddisfatto. Giudicò che avrebbe potuto reggere alle correnti almeno per il primo periodo del passaggio dei tonni.
La sera sulla terrazza, il cavaliere e il rais brindarono e quartare di vino vennero distribuite fra i marinai riuniti sulla piazzetta sottostante. Si rise e si batterono le mani perché quello era l’uso.
Quella notte il vecchio sognò un tonno grandissimo, grande quanto la sua muciara, velocissimo, che correva avanti e indietro nelle profondità del mare per avvertire i branchi di tonni che il rais Tano era tornato alla guida della Tonnara Grande.

All’alba non spirava alito di vento, il mare come una lastra di marmo scuro era percorso da venature fosforescenti. Ma tutto sembrava immobile, rappreso in statica attesa, mentre una forza immensa strappava il mondo alla notte e lo consegnava al giorno.
Gli uomini ad uno ad uno scivolarono fuori dalle dalle case, i remi in spalla, le ‘coffe’ piene delle cose per la giornata e si diressero alle muciare attraccate all’imbarcadero. Nessuno parlava e, chi lo faceva, era sottovoce quasi che la voce e il vociare appartenessero al giorno e lì all’alba le parole potevano appena venire accennate. Dall’imbarcadero si sentirono i rumore dei remi che si ricongiungevano alle barche, i tonfi delle coffe, il rotolare delle cime e il primo cigolio dei remi.
Il rais sedeva a prua e il ragazzo a poppa teneva il remo di direzione. Fra i due otto uomini vogavano in silenzio.
Il sole spuntò che uomini e barche avevano già raggiunti i loro posti definitivi. Il primo caldo si stese sul mare ricoprendolo di una patina che non era aria e non era acqua, ma solo umidità nebbiosa. Qua e là lo stridulo verso dei gabbiani che sulle boe avevano preso servizio quali sentinelle del silenzioso castello che si ergeva dal profondo del mare.
Una volta che le barche ebbero raggiunto la loro formazione definitiva, il rais si mise di guardia dalla lastra di vetro fissa sul fondo della sua muciara, chiamata lo specchio. Il ragazzo glielo aveva pulito e ma poi aveva preferito mandarlo con gli uomini della ciurma sullo ‘sciere di levare’. Non voleva dare, né al ragazzo né agli altri pescatori, l’idea che lo proteggesse. Gli piaceva inoltre sentirsi solo sulla muciara in quel primo giorno di pesca che induceva a tante riflessioni. Alla sua età ogni giorno induceva a delle riflessioni. In fondo aveva trascorso la maggior parte della sua vita da solo sul mare e le conosceva tutte le cose che aveva vissuto, e tante e tante volte le aveva pensate ma ora le vedeva non tanto sullo sfondo della sua vita ma su quello della sua morte perché ormai pensava più a come dover morire che a come vivere. Suo padre gli aveva detto che quando un uomo pensava più alla morte che alla vita era il momento in cui era divenuto adulto. "Sono adulto finalmente" si disse dentro di sé ridendo e appannando il vetro dello specchio.
Ancora i raggi che perforavano il mare erano obliqui e deboli. Un’ora magnifica per acchiappare i tonni. Solo che era difficile vederli e non gli sarebbe piaciuto ordinare una levata a vuoto!
"Sarebbe bello vederti arrivare già a quest’ora," il vecchio si riferiva al rais tonno... "Dico solo che sarebbe bello. Ma già dico grazie per la corrente. C’è, ma è roba leggera, di ponente e non disturba, anzi potrebbe addirittura portarli..." Il vetro continuava ad appannarsi e il rais preferì mettersi di guardia dal bordo della muciara.
"Potrei anche mettermi a dormire. Ma chi può dormire la prima giornata di pesca. E come quando si va con una donna per la prima volta. Non si può dormire." Quando era successo? Quando era andato soldato con le donne della guerra. Ritrovò un’asperità di una scritta che anni prima un suo marinaio aveva inciso sul legno. Vi era scritto: Di tunni e spata la Granne nni pigghia a millanta. E sulu a currenti ca la scanta. Di nuovo la sensazione di rimbalzare indietro nel tempo. Si ricordò del marinaio che aveva scritto quelle parole: un ometto piccolo con un braccio solo ma micidiale. L’altro lo aveva perso tirando una bomba contro i delfini. Com’erano stati fastidiosi i delfini quell’anno. Vi erano delle annate in cui non se ne vedevano affatto ed altre in cui erano sempre fra i piedi e per mandarli via bisognava tirare dei cartocci di tritolo. Già.
"Spada! Spada!" La voce del ragazzo tagliò quella prima vera luce della mattina.
Anche il vecchio lo aveva visto con la coda dell’occhio saltare in lontananza. Un siluro che spuntava dall’acqua e si lanciava contro il primo sole.
"Sei un gran pesce ed è meglio che te ne vai ad est. Ma anche tu incapperai nelle reti prima di sera." Ora cominciava a fare caldo e il vecchio si alzò e alzò il lenzuolo bianco poi bagnò l’intreccio del cappello di paglia che essendo ancora nuovo gli segava la fronte, poi prese da sotto la prua il capo di una duglia e vi legò il coperchio di un barattolo di latta e lo calò in acqua facendo scorrere il filo lentamente fra le dita. Un sistema antichissimo per captare i riflessi della luce sul dorso dei tonni. Ma prima di tornare a fare la guardia afferrò la quartara e diede una lunga sorsata. Bevve, sputò e ribevve.
"Già... Sarebbe bello levare a cento tonni. Cos’altro potrebbe volere un vecchio pescatore come me. Sono solo l’emozioni che ti allungano la vita perché non ti fanno accorgere che il tempo passa. A questo punto è l’unica cosa che conta, non accorgersi del tempo... Una sorsata alla volta e l’acqua nella quartara finisce...." Guardò verso la barca dello scapolare e da come il marinaio di guardia era curvo capì che aveva visto qualcosa.
"A tia..." gridò. L’uomo dello scapolare voltò la testa e fece un cenno con la mano, poi si curvò di nuovo dal bordo della muciara.
Quello nello scapolare era una vecchio tonnaroto che chiamavano il Cucco, che in siciliano vuol dire falco. Non era un buon ammazzatore ma quando era di guardia poteva vedere una sarda a cento metri.
Ora anche il rais si chinò dal bordo della muciara. I raggi scendevano in profondità e illuminavano le latte a mezzo fondo. Banchi di sardine passavano e ripassavano sotto lo specchio godendosi l’ombra della barca.
"Ci siete, lo so che ci siete. Ve lo ha detto il vostro rais che sono tornato e anche voi volete vedermi..." Parlava al mare che era enorme ma aveva un’anima. O perlomeno egli era convinto che il mare avesse un’anima poiché tutte le risposte gliele aveva sempre date il mare.
Ora vi fu un balenio in una delle latte in fondo al mare.
"Eheee!" Anche da altre barche erano state viste delle latte riflettere dei lampi, ma poi seguì di nuovo il silenzio simile a quello di un profondo respiro trattenuto. Tutti guardavano ora verso il fondo.
"Ora vi ho visto anch’io." Fece il rais. "Ti ringrazio mio mare. Sapevi che avevo bisogno di questi tonni. Quanti sono?" Poi il rais rise perché il suo riso era una come una forma di benvenuto. Un lampo nella credenza dei tonnaroti voleva dire dieci tonni, ma erano stati visti parecchi lampi in vari punti della tonnara, dallo scapolare allo sciere di levare fino alla sua muciara. Ma mentre parlava e rideva non distoglieva mai lo sguardo dal coperchio di latta.
Ora il Cucco si sollevò dalla guardia e prese a segnalare alzandosi e abbassandosi con le braccia alzate in direzione della barca del rais.
Il rais fece un cenno verso la costa. Era diretto al cavaliere.
"Devono essere molti. Chissà se il cavaliere ha contato i segnali del Cucco. Ora passano anche sotto la mia barca e di nuovo sotto quella del Cucco e per mezzogiorno si arrenderanno." Di nuovo il coperchio di latta segnalò dei bagliori.
"Sei sette, ma siete molti di più di sessanta settanta. Vorrei essere laggiù in mezzo a voi. Un tempo mi bastava tenere il filo di una lenza in mano per contarvi. Ma ora non ne sono più capace. Ho troppi calli sulle mani e non riesco più a sentire la vibrazione sul filo. Sono tante cose le cose di cui un vecchio non é più capace."
Vi fu un nuovo passaggio sotto la barca del Cucco che subito riprese a fare i segnali.
"Abbiamo la tonnara piena di tonni. Grazie mio mare. E’ il primo giorno di pesca e abbiamo la tonnara piena. Ha visto cavaliere...Quanti erano che non vedevate la tonnara piena di tonni. Grazie mio mare" Ma questa volta il rais trattenne le parole perché i pensieri erano troppo veloci. Ora si staccò dal cavo d’acciaio del ‘pedale’ e andò in un altro punto verso gli scieri.
"Zù Tanu, su' a millanta!!!" Anche il ragazzo sullo sciere aveva visto i tonni e voleva farlo sapere al vecchio.
"Fa silenzio ché se ti sentono si mettono paura e scappano come i polipi. Tutti marinai risero e beffeggiarono il ragazzo che però li rimbeccò. Tutti sapevano che il ragazzo sarebbe stato un buon marinaio. I veri marinai lo sapevano giudicare.
Ora il rais decise di issare una bandiera Uno straccio bianco e nero.
"Bannera i’ venti!" gridò.
"Ve lo aspettavate cavaliere. La tonnara ‘mollata’ e la bandiera di venti. Ma potrebbe essere anche quella di cinquanta. Lo sapete io con le bandiere ci vado sempre piano. Ma ve lo prometto per questa sera rivedrete il ‘cappotto’. Questa sera lo rivedrete."
Quando il sole toccò lo zenith i tonni entrarono nella ‘leva’. Così puntuali col mezzogiorno che al rais sembrò che avessero un appuntamento
A quel punto ordinò la levata.

La novella appare in forma completa sull’edizione su carta di
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