I Meridiani Mondadori accolgono la sua opera omnia

L’anno prossimo ricorrerà il mezzo secolo dalla scomparsa di Vitaliano Brancati e intanto, per tempo su quella ricorrenza, la sua opera, emigrando dal suo editore storico, Bompiani (fu nella celebre collana dei "Delfini" che molti di noi lessero "Don Giovanni in Sicilia", "Il bell'Antonio" eccetera), entra nei "Meridiani" di Mondadori: il primo tomo, di quasi 1800 pagine, col titolo "Romanzi e saggi", è giunto ora in libreria; seguirà un secondo tomo che raccoglierà i racconti, il teatro e gli scritti giornalistici. Questo nuovo "tutto Brancati" (o quasi tutto: narrativa e teatro completi, ampia scelta dei testi saggistici e giornalistici) è curato, con i consueti apparati bio-bibliografici e di note ai testi caratteristici dei "Meridiani", da Marco Dondero e reca una penetrante e analiticamente articolata nota introduttiva di Giulio Ferroni. Come sempre, di fronte a queste riproposte di autori in cornici che conferiscono il marchio di "classicità" (e Brancati, per la verità, la consacrazione l'aveva già avuta in due volumi dei "Classici Bompiani" a cura di Leonardo Sciascia), le domande sono: è un classico vivo, di quelli le cui pagine possono ancora segnarsi di sottolineature e di note sia di vecchi lettori che rileggono, sia di giovani lettori che leggono in prima battuta? Oppure è un classico che occuperà lo scaffale sul quale la polvere si accumula più indisturbata? Oppure, meno unilateralmente, bisognerà distinguere, secondo la formula crociana, ciò che è vivo e ciò che è morto?
Sulla vitalità della narrativa di Brancati credo non ci siano dubbi; e, se proprio si vuole porre un'alternativa fra cose che in quei romanzi sono di maggiore energia poetica e cose meno vive, non tanto si tratterà di scegliere fra "ciò che è vivo e ciò che è morto", quanto piuttosto di vedere meglio - alla distanza - ciò che di più intenso e in qualche modo di più universale ed eterno si celava sotto la più appariscente scorza di una sicilianità, per così dire, "da commedia": quella del "gallismo", dell'ossessione sessuale che infiamma e tormenta e ammala i maschi, dannati alla dicotomia fra le allucinate estasi dell'eros sognato e le miserie del povero eros praticato. Nel suo semplice "contenuto" questa sicilianità potrebbe facilmente apparire moneta ormai fuori corso anche negli angoli più marginali del più marginale Meridione.


Il fatto è che la sicilianità di Brancati o, meglio, la sua "sicilitudine" (questo termine forse esprime meglio la valenza di "categoria dell'anima" che vi si deve cogliere) è cosa più profonda di quello che può essere una anche felice pennellata di costume o una, magari pittoresca, sintesi di un dato sociologico. Al contrario, come in altri grandi scrittori di quell'isola (per carità, scampateci da frammentazioni federaliste almeno in letteratura: che mutilazione sarebbe quella della nostra storia letteraria degli ultimi centoventi anni se qui al Nord dovessimo considerare scrittori stranieri Verga e Pirandello e Tomasi di Lampedusa e Sciascia?), la sigla siciliana delle invenzioni narrative di Brancati è una metafora densa - e tanto oscuramente tragica per quanto appare alla superficie comica - di un sentimento del vivere segnato da una frattura: l'insanabile ferita derivante dal conflitto fra la tensione verso una solare armonia nella quale l'immagine femminile è suscitatrice di una serena, appagabile e appagante sensualità da un lato e, dall'altro, la distruttiva emergenza di una forza violenta e oscura (Brancati la chiama "lussuria" in contrapposizione alla luminosa "sensualità") che condanna ad una furia inappagata, che esilia da ogni possibile orizzonte di razionalità e di felicità.

C'è un passo dell'ultimo, incompiuto romanzo di Brancati, "Paolo il caldo", che spiega questo nodo fondamentale della sua sensibilità: "Lo sforzo costante della mia vita è stato di vedere la luce del mondo (che per me è quella della Sicilia) dalla parte ridente, ed espellere dal cervello le influenze della sua ripresa buia, dalla quale derivano l'apprensione e la lussuria". Ferroni, intitolando la sua introduzione "Lo scrittore più meridionale d'Italia" (Pachino, patria del nostro autore, è la città italiana in assoluto più a sud), osserva che "l'essere meridionale di Brancati non si risolve in un abbandono a una dispiegata solarità?, ma in un insistente confronto tra sole e ombra, in una appassionata immersione nel chiaroscuro, in una investigazione sui contrasti, le incertezze, le esitazioni, le sfumature, in tutto ciò che complica, estenua, distrugge la promessa di felicità e di gioia che sembra emanare da quell'estremo essere a Sud".
Appunto contrasti, incertezze, esitazioni, sfumature: Brancati autore capace di cogliere - con l'originale lucidità testimoniata, in parallelo alla narrativa, dalla sua saggistica - tensioni e sofferenze del secolo che ci sta da poco alle spalle. Da un estremo, decentrato angolo del Sud mediterraneo al cuore ferito dell'Europa novecentesca, con l'energia che è propria di altri grandi autori di margine o di periferia divenuti poi gli interpreti più sensibili delle verità centrali del proprio tempo.

Giulio Galetto Vitaliano Brancati nasce a Pachino (provincia di Siracusa) nel 1907 da una famiglia di media borghesia. Dal 1920 Catania diventa la sua città e sarà lo sfondo - sottinteso o esplicito - delle storie narrate nei suoi romanzi e racconti. Aderisce al fascismo e dall'ideologia fascista sono segnati i suoi scritti giovanili - testi narrativi e interventi giornalistici - fino ai primi anni Trenta. Il 1934 è l'anno del distacco dal fascismo e della pubblicazione del primo importante romanzo in cui viene delineata la figura di un personaggio in crisi fra pulsioni contraddittorie, fra sogno e realtà: "Singolare avventura di viaggio". Iniziano intanto i soggiorni romani, alternati ai ritorni a Catania. Collabora alla rivista "Omnibus", diretta da Longanesi, con articoli che formeranno poi il volume "I piaceri". Negli anni della guerra risiede prevalentemente a Catania; nel '41 esce "Don Giovanni in Sicilia". Nell'immediato dopoguerra pubblica la raccolta di racconti "Il vecchio con gli stivali" e un gruppo di saggi intitolato "I fascisti invecchiano". Conosce l'attrice Anna Proclemer, che sposa nel 1946: un amore tenerissimo, che Brancati vive col tormento del suo essere "troppo vecchio" rispetto alla splendida giovinezza di Anna. Nel '47 esce il suo romanzo di maggior successo, "Il bell'Antonio". Del '52 è il testo teatrale "La governante", la cui rappresentazione viene bloccata dalla censura. Nel '53 avviene la separazione dalla Proclemer. Brancati, pur nella crisi esistenziale che lo affligge, lavora come sceneggiatore cinematografico e attende al romanzo "Paolo il caldo". Nel settembre del '54 si sottopone, in una clinica di Torino, ad un'operazione che non doveva essere di particolare gravità: muore sotto i ferri del chirurgo, il noto prof. Dogliotti. "Paolo il caldo", incompiuto, esce postumo nel '55. Postumo uscirà anche il "Diario romano". (g.g.)
Fonte: Brescia Oggi il 05-07-2003 - Categoria: Cultura e spettacolo

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