Gli ultimi chicchirichì dei galli di Brancati

I nomi sono sempre gli stessi, Percolla, Magnano, Castorina, Muscarà, Scannapieco, e quanti altri, da prima a poi, si sono scaldati al sole dei caffè di via Etnea. A mezzo secolo dalla morte di Vitaliano Brancati, la tentazione è censire i residui del gallismo catanese, protagonista delle sue opere migliori. Cosa rimane di quel mondo, nella città dove il ragazzo di Pachino approdò per studiare, assumendone ritmi e vizi? Cosa resta dei perdigiorno esemplari che già Verga aveva chiamato ingravidabalconi?

«Giovanni Percolla aveva quarant’anni, e viveva da dieci anni in compagnia di tre sorelle,... a Catania, dove i discorsi sulle donne danno un maggior piacere che le donne stesse». Percolla l’accidioso. L’eternamente eccitato. Che torna in grembo alle matriarche di famiglia dopo una pur corroborante parentesi matrimoniale a Milano. E’ il Don Giovanni in Sicilia del 1941. Con Il bell’Antonio e Paolo il caldo forma la trilogia brancatiana dei seduttori “per nascita e per forza”, modellata sui tipi catanesi. I cui epigoni, spalmati fra la barocca via Crociferi e un’ormai poco riconoscibile via Etnea, vanno cercati fra gli anziani di un certo giro, che cenano alle due di notte e coltivano l’eros da chiacchiera e da alcova.
In un appartamento della via De Gasperis, alto sul mare, l’ingegnere Domenico Rapisardi, occhi chiari, testa leonina, coetaneo e amico intimo di Brancati, racconta. Porta, con incredibile vigore estetico, i suoi 96 anni. Prepara di persona, per gli ospiti, un ottimo cocktail al rhum e succo di arancia. E dopo, quietamente, strappa i ricordi al passato. Una sola richiesta: «Lasciatemi pensare qualche minuto, alla mia età le cose bisogna pescarle lontano». Sconvolgenti l’arguzia, lo humour, la proprietà di linguaggio, i segni di una cultura che, nonostante la formazione scientifica, tende all’umanesimo.
«La Catania di oggi non è meglio e non è peggio di quella di allora. E’ diversa. E nella diversità ci sono il meglio e il peggio. Gli ingravidabalconi ? Una genìa estinta. Non vale la pena ragionare su come si comporti il seduttore siculo attuale. Per un semplice fatto: non si comporta. Quanto ai personaggi di Brancati, essi sono creature della fantasia, una summa di caratteri che lo scrittore ha trasformato in letteratura. Ma la vetrina di via Etnea era una realtà. Noi le ragazze le guardavamo da lontano, poi, una volta l’anno, al Massimo Bellini, in occasione del ballo di Carnevale detto Parée masque , parlavamo con quella che ci interessava. Via Etnea era fondamentale: si passeggiava su e giù, giù e su... Gioco di sguardi, voli di immaginazione».

Si sofferma con fastidio sui ragazzi del telefonino, nutriti dalla tv, incapaci di comunicare. Anche Elena Brancati, nipote di Vitaliano, riconosce nella volgarità la linea di demarcazione fra Giovanni Percolla e il dongiovanni 2003: «I “galli” sono annegati nella macchietta da film scollacciato. Se fanno apprezzamenti su una donna, usano modi e parole grevi, nessuna inventiva, non conoscono i linguaggi impliciti». Basta percorrere via Etnea all’ora della granita, o dell’aperitivo, per viverla da vicino, la differenza. Giovanotti americanizzati, tutti Coca, firme e motorini. I galli superstiti, pronti a infiammarsi sulla passeggiata delle “belle”, hanno in media settant’anni, sono affezionati agli interminabili tavoli da poker di un club della costiera, dove tante fortune hanno preso il volo, e ciarlano di matrimoni fatti, disfatti o da fare, di gravidanze, battesimi, corna. Assai più giovani di Brancati o di Mimì Rapisardi, non avrebbero comunque difficoltà a replicare le loro burle. Quella quasi crudele, ad esempio, che fu giocata un giorno al Vitaliano timido, schivo, col pallino delle donne. «Ci inventammo - ricorda Rapisardi - che una bella aristocratica si era innamorata di lui. Una passione folle, gli dicemmo. Ma i genitori si opponevano, volevano sbatterla in collegio. Scrivemmo anche delle finte lettere, alle quali lui rispose. A un certo punto, era totalmente preso. La cosa, però, ci stava sfuggendo di mano, non sapevamo più come governarla, come, soprattutto, farla finire. Allora ci venne in mente di dire che la ragazza stava partendo per il collegio, ma aveva un ultimo desiderio: una poesia. Brancati la scrisse, titolo A un’Ignota . Ricordo a memoria gli ultimi versi: ...stasera ho voglia di piangere/col volto sulla tua mano/la sera è triste e il mio pianto/lo piango piano piano . Incantevole la malinconia, struggente il pianto quieto, non di rottura, e dunque tanto più profondo...».

Giovanotti irripetibili. Capaci di vivere gli amici in modo perverso. «Se io so che la moglie del mio migliore amico lo tradisce, che debbo fare?», cita Rapisardi. Ed è il rovello principe del maschio catanese, innamorato dei suoi sodàli e a loro devoto in forma quasi religiosa. E un vero cilicio, più tormentoso delle corna in casa propria. «A noi piace sofisticare, analizzare, demolire. Ma ciò cui teniamo di più è l’essere creduti diversi da quel che in realtà siamo, ricchi se poveri, intelligenti se stupidi. E viceversa. Ci piace “babbiare”, fare grullo il prossimo. Ne proviamo un piacere quasi sessuale». Gusto della maschera, del travisamento. Difesa di colonizzati, forse. Non esente da una punta di sadismo.

Come non pensarci, incontrando il gruppo superstite, reduce da un sabato notte di rappresentanza? «Una cosa noiosissima: l’inaugurazione di un albergo. Se al nostro tavolo non fossero arrivate un paio di belle femmine, sarebbe stato il tedio totale». Edo, o Eldorado, al secolo Eduardo Magrì, distilla la domenica d’estate al lido di sempre, “I Ciclopi”. Con gli amici: Ciccio Calabretta, il bello, ex sportivo, detto Nasone; Franco Pintaldi “Taralla”; Geo Magrì “Naso di corno”. Manca solo lo scomparso Saverio Barbagallo, “Moravia”. Ben tenuti, assonnati ma lucidi, divise da spiaggia degne dei migliori Sessanta. Edo sollecita la memoria collettiva. «Da giovani, entrando da “Caviezel”, la pasticceria, ci ingozzavamo di roba. Poi, alla domanda della cassiera: “Quanti pezzi?”, la risposta pronta: “Un pezzo”. Senza vergogna». Goliardìa di provincia, fra un trasporto erotico e l’altro.

«Erano e sono i vitalisti - dice Luciano Motta, geriatra, decano dell’Università di Catania e anima del gruppo (coetaneo) dei gaudenti intellettuali -. Erano gli scavezzacollo, i senzasonno, i forzati del corteggiamento. Vent’anni prima, il giro di Brancati, fatto di professori, giornalisti, scrittori, ebbe caratteristiche più simili alle nostre. Si riunivano davanti alla farmacia dei Minoriti a discutere di letteratura, storia, politica, questioni cittadine. Ancora esiste, quella farmacia. Allora, all’interno, c’era anche una stanza con lettino per le visite mediche. Chi aveva bisogno di un controllo, passava di là e si faceva guardare. Il farmacista - a quel tempo era ancora lo speziale - confezionava subito la prescrizione e il paziente se ne andava avendo fatto due cose in un colpo solo».

Via Etnea. Luciano Motta, detto l’“Avvocato”, si rammarica dei mutamenti che il salotto di Catania ha subito nel dopoguerra: «Scomparse le ville nella parte alta, sul viale, che erano magnifiche, scomparsa la Sala Roma, un cinema liberty pieno di ricordi, mutata la zona dell’Albergo Central Corona, dove ronzavamo per spiare le femmine continentali, decimati i tavolini e le tende dove si parlava di sesso». E’ vero, professore, che Paolo il caldo è realmente esistito? Risponde Vera Castorina, vedova di chi molti indicano come il modello reale del personaggio brancatiano: «Mio marito si chiamava Paolo, era splendido, amava le belle donne e le belle donne amavano lui. In una scena del film di Marco Vicario con Giancarlo Giannini, tratto dal romanzo, compare anche lui. La girarono all’Hotel San Domenico di Taormina, fu invitato. Fa un breve passaggio, elegante come al solito. Per identificarlo occorre molta attenzione: io stessa ho dovuto guardare il film almeno tre volte».

Il resto, si sa, è Catania, è mestiere della seduzione.

RITA SALA
Fonte: Il Messaggero il 28-07-2003 - Categoria: Cultura e spettacolo

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I GALLI : PASSATO PRESENTE E FUTURO DEL GALLISMO CACIAROSO A PACHINO.

I riferimenti al Baglioni e Firenze sono di Vitaliano Brancati. Infatti sono le prime frasi del libro "Paolo il Caldo".
Di Vitaliano Brancati mi colpisce molto di questa questa descrizione fatta dalla ottima giornalista Rita Sala che nella intervista riporta ricordi del vecchio "gallo" Rapisardi e dei suoi pochissimi amici ,oramai rimasti per l'età, un fatto significativo che trova riscontro sostanziale anche nella società e nella vita attuale. Ciò, al di là delle macchine dalle saettanti vespe e dei telefonini. Ma addirittura, io credo sia cosi presente da essere arrivata a costituire imagine popolare giovanile tanto da essere usata come macchietta e scenetta demenziale per la pubblicità di un noto gelato fatta in televisione: dove tre ragazzi, due in coppia e l'altro che sta ad occhieggiare quest'ultimo visibimente e volutamente "demente" pensa e richiama l'espressione: ha... però... Sono stati fatti... attaccandoli ad uno ad uno???

Il "gallismo" moderno che ti fà diventare "scemo" solo nell'incrociare lo sguardo di una ragazza. E dici una stupidata solo per attirare l'attenzione. Nel presentare Vitaliano quello che più mi ha colpito è il fatto che gli amici di CATANIA gli avevano tirato un brutto tiro. L'invenzione della donna che lo amava. Le lettere che qualcuno aveva scritto per inventare questa idolatrata figura femminile a cui Vitaliano scrive addirittura una poesia. Emerge da questo un personaggio assolutamente indifeso, da canzonare, da prendere in giro: un credulone atipico nel panorama del "gallismo" di maniera di allora. Ciò fà emergere la parte "cattiva" delle persone verso sensibilità particolari e timidi personaggi che l'umanità produce in ogni era. Mettere a giro una persona per procurarne significative deformazioni della realtà come un fatto che si riduce unicamente al solo atto e ostentazione di potere sessuale. Quanta di questa cultura sia rimasta in in italia e in sicilia lo abbiamo già evidenziato: è totale. La situazione è a livelli alti, fondamentali per la rappresentazione della società moderna. Dove alla macchina e al motorino e al telefonino devi ostentare anche machismo puro e duro: senno sei finito. Cosa può produrre in queste persone "la caciara": universalmente riconosciuta. Io la ricollego alla sostanziale perbenismo e arrivismo ma alla fine frustrazione della società e negli individui di ogni era e sfera. Dalla inconsistenza culturale diffusa che appena intravvede un debole o un sensibile lo attacca con veemenza scaricando su esso le vanaglorie e repressioni sostanziali di irrascibili asini ignoranti. Ma io credo che sostanzialmente all'interno di una produzione di simili fatti che poi pian piano si estendono alla socialità totale c'è una irrefrenabile ittaura contro la vera intelligenza: La semplicità dell'essere se stessi.La società dell'apparire del manifestare dell'ostentare: l'avere. Due personaggi di Pachino che hanno subito lo stesso trattamento: Vitaliano Brancati a Catania; Giuseppe Canalazzu a Pachino. Il primo riceveva lettere, il secondo telefonate. Il primo da una anonima ragazza di Catania, inventata, che gli scriveva lettere e che giustificare la sua scomparsa fù inventato che da li a poco sarebbe partita per andare in collegio; al secondo niente meno che la sorella bellissima, aulentissima, del notissimo allora ,anni 70, cantante Claudio Villa. A Pachino, forse pochi si ricorderanno di questa triste vicenda di iraconda e tragica "caciariata" popolare. Ma fu cosi davvero che è andata. Epilogo. "Peppi Canalazzo, aiuto macellaio che lavorava stabilmente nel Macello Comunale, con qualche serio problema di comprendonio, era stato convinto che una nota attrice, che aveva visto in una copertina di giornale, in effetti fosse la sorella del noto cantante Claudio Villa. E tramite qualcuno di cui, evidentemente, Peppe si fidava era stato convinto che Lei lo amasse. Era stato anche inventato il giochetto che di tanto in tanto Ella facesse qualche telefonata. Non avendo telefono Peppe, era Lei che telefonava ai numeri di qualche bar attorno alla piazza. Lui veniva avvertito dagli amici e contento andava a parlare con l'avvenente attrice, c'era anche chi trasformando la voce la impersonava. Lei diceva che lo amava immensamente, che aveva ricevuto la sua foto ed era rimasta rapita di tanta inusitata e maschile beltà. Infine ogni volta gli prometteva che presto sarebbe arrivata a Pachino per sposarlo: Lui (anche se non c'è più da parecchi anni)ancora l'aspetta. Da Pachino, Costa dell'Ambra. CORDIALI SALUTI