Gaspare Calì: sintesi 1961-2001

Gaspare Calì: sintesi 1961-2001. E' questo il titolo di un libro pubblicato di recente dall'Editrice Alveria di Noto. Pittore pachinese di successo, con numerosi e prestigiosi riconoscimenti, Calì è un'artista unico nel suo genere. Michele Romano, dell'Accademia di Belle Arti «Mario Minniti» di Siracusa, definisce l'opera di Calì in grado di riscoprire «le caratteristiche di una realtà cromatica carica di intimità».
L'esperienza di Gaspare Calì parte dal lontano 1961 e dal quinto premio per l'opera «La pineta» come riportò su «La Sicilia» Salvatore Stelladoro.

Da allora sono arrivati numerosi riconoscimenti anche a livello nazionale ed internazionale compreso l'invito dell'Accademia del premio «Biennale di Venezia» con l'assegnazione della grande targa «Chiesa della salute» e l'invito all'arte fiera di Bologna (Comunication and contemporary art). A Pachino Gaspare Calì è stato tra i fondatori del «Gruppo 61» insieme a Corrado Brancato, Gino Di Frenna, Giuseppe De Luca, Giovanni Iurato, Tano Mallia ed Ermelinda Micalef. Un gruppo che fondeva idee ed entusiasmo, facendo balenare una nuova concezione dell'arte ed ottenendo apprezzabili riconoscimenti. Dal «Gruppo 61» al «Gruppo Sei» il passo è breve. Siamo alla metà degli anni settanta e con Calì troviamo artisti del calibro di Salvatore Dugo, Brancato, Di Frenna, Mallia ed il poeta Salvatore Cagliola.

«Queste due esperienze le considero molto importanti - sostiene l'artista pachinese - nel mio percorso artistico». Un'iniziativa che coniugava la cultura nei suoi aspetti molteplici, come fatto umano che nasce da un contesto sociale, quasi rifacendosi a quel concetto che Karl Marx aveva dell'arte che «non doveva essere uno specchio bensì un martello».
Ha scritto di lui Pietro Campanelli: «la pratica pittorica di Gaspare Calì viene assunta come un flusso che trascina dentro sè il lento sedimentarsi degli stadi emozionali, mnemonici e minimali che si identificano in un originalissimo linguaggio invitante a coglierne, in continua meditazione, i suoi silenzi».

Nel libro sopracitato sono riportate sessantuno sue opere: dalla «Stella Marina» (tecnica mista su tela, 1980) all'Omaggio a Vitaliano Brancati (2001). Non potendo elencarle una ad una segnaliamo in questa sede «Calafatari» (1980), quasi un omaggio alla tradizione marinara di Marzamemi e Portopalo di Capo Passero, il mosaico «Donne del sud» (1980), «Volti» e «La città futura», entrambi del 1995 e dove l'artista sembra mettere in evidenza la spersonalizzazione e l'alienazione dei tempi moderni. Ma c'è anche l'omaggio alla sua città, Pachino (Cortile pachinese, acrilici su metadens, 1995) ed a Portopalo (Tonnara, olio su tela). Bellissimo anche il «Golgota in riva al mare» (acrilico su tela, datato 1981) con la crocifissione di Gesù e con lo sfondo dell'isola di Capo Passero. Di Gaspare Calì va ricordata anche l'esperienza con il grande regista italiano Michelangelo Antonioni che lo scelse per girare alcune sequenze del celebre film «L'avventura» che ebbe come attrice protagonista Monica Vitti.

Il rettore del seminario vescovile di Noto tuttavia gli negherà l'autorizzazione giudicando scabrose le scene del film dopo averne letto il copione. Della produzione di Gaspare Calì va ricordato anche il «Cardinale Egidio Albornoz», opera trafugata non molto tempo addietro dal sempre più in decadenza «Castello Tafuri» di Portopalo. La sua attività artistica e letteraria lo ha portato anche a scrivere il romanzo «Dalla realtà alla pura follia», titolo nato a Cinecittà da una discussione che l'artista pachinese ebbe con il grande Federico Fellini, alla presenza di Marcello Mastroianni. I suoi giorni Calì li trascorre tra Pachino e Torre Fano, bellissima contrada situata poco distante dal centro abitato di Portopalo e storicamente conosciuta per essere stata nei secoli passati un fondamentale punto di rilevamento dei pirati che assaltavano le coste della Sicilia sud-orientale. Una parte del suo tempo Calì lo passa inoltre a Noto, dove insegna.

«Ancora qualche anno poi me ne andrò in pensione per godermi la mia famiglia», ci dice al termine di una lunga chiacchierata dove mette in evidenza il suo lungo percorso di ricerca e di miglioramento artistico. Dal libro dei ricordi trae anche un telegramma prestigioso che reca uno stemma inconfondibile: quello della «Casa Bianca». La firma è dell'allora presidente degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan che glielo inviò nella sua abitazione di Busto Arsizio. E' anche questo il bagaglio di un artista che si è ritagliato uno spazio importante, al di fuori da estemporanee apparizioni ed all'insegna di uno stile inconfondibile e qualitativamente significativo.
Fonte: LaSicilia.it il 13-11-2002 - Categoria: Cultura e spettacolo

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