Franco Battiato: «La ricerca mistica nel mio nuovo film»

Franco Battiato: «La ricerca mistica nel mio nuovo film» di CARMELITA CELI

MARZAMEMI - Franco Battiato, il tantra è qui. E non solo in «Perduto amor», primo di quella che si vuole trilogia filmica, ora completata da «Niente è come sembra» di cui, oggi, Battiato in persona presenta, in versione tanga, al Festival del Cinema di Frontiera con i 30' di «Musikanten», testo-pretesto per parlare del suo cinema, al Cortile di Villadorata alle 19. Ma per l'Invitato Speciale, è tantra sempre: energia incanalata in bonomia e intransigenza, appagamento e irrequietezza. Sovrano distacco al limite del romantico. «Ho avuto molto più di ciò che m'aspettavo, un pubblico che mi segue con un'attenzione imbarazzante, sentirli cantare, al Nord, “Stranizza d'amuri”, mi toglie il fiato. Faccio una vita meravigliosa, sono grato alla natura per avermi posto in un ordine di cose consolatorie. Non ho mai conosciuto noia, invidia, competizione, una patologia, questa, su cui ha già detto tutto Paul Valéry e alla grande. Io sono con Teresa d'Avila: ciascuno è artefice del proprio destino, che lo sappia o no».
Niente è come sembra.

Ma a Venezia, la risposta (sua) alla cattiva risposta (di alcuni) a «Musikanten» sembrò un tantino iraconda. Diamo subito le istruzioni per l'uso, allora?
«Ce l'avevo con qualche critico che prima accettò di vedere il film in condizioni improbabili - 500 persone in una sala da 300 tra ragazzini sghignazzanti e armati di telefonini - poi sparò a zero. Non volevo lodi a tutti i costi, solo civiltà d'ascolto e l'onestà di riconoscere che non tutti possono recensire tutto. Io, per esempio, non oserei mai occuparmi di un genere non mio come il jazz».

Qual è il criterio con cui sceglie i suoi attori?
«Ah! E' una questione assolutamente speciale. Finora, i miei film non potevano che essere interpretati da quelle persone: li studio da matti, a volte li riprendo senza che loro lo sappiano per lavorarci dopo, da solo. Con Giulio Brogi (“Niente è come sembra”) siamo stati due giorni gomito a gomito in sala per Jodorowski (“Musikanten”) che lui doppiava. Ho amato subito la sua natura flessibile e mimetica: sarà lui il prossimo, mi sono detto».

La sceneggiatura c'è già tutta al primo ciak o scrive in itinere?
«Il viaggio è lungo, dura almeno due anni benché “Niente è come sembra” tratti di ricerca mistica, verità che vivo da sempre. Più difficile è trovare le musiche: non sono l'unico autore, mi piace scoprire talenti del passato: basta che qualcuno mi faccia saltare dalla sedia ed è fatta». E il soggetto lo discute con Manlio Sgalambro, sempre suo sodale... «Sempre».

Mai pensato di cambiare “fornitore”" sul piano del Pensiero e della ricerca filosofica?
«Non parlerei di forniture, io esistevo già da prima! L'interlocuzione con Sgalambro è così libera, divertente, è scambio leggero, senza dipendenze, difficile coglierlo dall'esterno. I “necrofili”, come li chiamo io (i fondamentalisti di B, ndr) mi dicono che oggi non si capisce più chi ha scritto una cosa e chi l'altra. Ti piace? E allora basta!».

E' stato in giuria all'ultimo Taormina Filmfest. Da “spettatore esigente” di altri film, cerca le stesse cose che poi vuole nei suoi? O sono due mondi inconciliabili?
«La seconda. Il cinema è un mezzo espressivo non appannaggio di chi decide come deve essere. Un bel momento, certi artisti devono prendersi la responsabilità di dire basta con i luoghi comuni, di mafia ed americanate ne ho piene le scatole».

Mai sentito il fascino discreto del Neorealismo?
«Direi di no. Pure, la moglie di un famoso regista che non dico, alla fine di “Musikanten” mi disse che gli ricordavo Rossellini. Aveva ragione lei, forse, ma il Rossellini di Socrate e di Pascal non certo quello di “Paisà”».

«Gilgamesh» e «Il cavaliere dell'intelletto». In una parola, opera in musica. Esperienza cotta, mangiata e digerita?
«Lo sforzo di uscire dalle categorie ha lasciato buon segno. Se oggi decidessi di scrivere una sinfonia, verrebbe fuori qualcosa d'interessante perché non sarei più succube della struttura».

Pifferaio magico o Mago di Oz?
«La mia marcia è la stessa... Studiare mi entusiasma, io voglio restare uno “spettatore”. E mi ha salvato il fatto di non aver mai creduto d'essere influente. Detesto i fischi ma gli applausi non mi fanno effetto: lavoro seriamente e non sono rimasto incastrato nella logica del dare e avere. Se oggi nessuno comprasse un mio disco, vivrei felice lo stesso. La gente seguita a piacermi ma la comunicazione è l'etere». Il tantra è qui.
Fonte: LaSicilia.it il 27-07-2007 - Categoria: Cultura e spettacolo

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