E la morte arrivò dal mare

E la morte arrivò dal mare Peeveen, tamil dello Sri Lanka, aveva pagato più di seimila dollari per arrivare in Germania, via Sicilia, dopo essere partito da Alessandria d'Egitto. Anche Amhed rincorreva il miraggio Europa, lontano dalla miseria del suo villaggio pakistano. E Haji, partito da Peshawar, o il cingalese Chenì. Tutti e quattro sono morti affogati nel naufragio della notte di Natale del 1996. Alla stazione di Termini di Roma, pochi giorni dopo la sciagura, tra gli immigrati pachistani che vivono nella capitale (circa 1500 persone), circolano già gli elenchi dei dispersi: una lista diramata dall'ambasciata del Pakistan in Grecia. In due fogli vi sono sessantotto nomi, tra dispersi e superstiti. Facevano parte di un carico umano di oltre 300 clandestini che per settimane ha vagato nel Mediterraneo, trasbordato da nave a nave, fino all'ultimo passaggio sulla Yihoan e quindi nel barcone della morte che li avrebbe dovuti sbarcare in Sicilia e che invece è colato a picco.
A Piazza Vittorio, dove ha sede l'associazione dei pachistani di Roma, il via vai è continuo. A partire dall'Asia, per quel viaggio che li avrebbe portati a morire tra Malta e la Sicilia, erano i migliori, in gran parte laureati e scelti dalla comunità che su di loro aveva investito dai 5000 agli 8000 dollari. Giunti a destinazione, avrebbero dovuto contribuire al mantenimento della collettività locale. Per avere notizie sui fatti di Natale arrivano telefonate persino dagli Usa: a New York, un pachistano emigrato ha saputo per telefono della morte del fratello, tra i primi nomi in quella lista di dispersi redatta dall'ambasciata. Di quel tragico naufragio già ad inizio di gennaio del '97 si sa già tutto, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti giunti in un porto della Grecia.

Alcuni giornali (in Italia soltanto Il Manifesto) delineano in ogni suo passaggio le tappe dell'odissea fino al tremendo epilogo di Natale. Il 9 gennaio '97 Livio Quagliata, inviato del Manifesto, intervista uno dei pochi superstiti, un tamil di 38 anni che racconta i passaggi salienti dell'ultima parte del viaggio. Riferisce di luci che vedevano a distanza, della sosta della Yiohan, all'una di notte circa del 24 dicembre e a circa 30 chilometri dalle coste italiane (poco più di 16 miglia marine). Descrive il momento del trasferimento nel barcone, che poi è tornato indietro perché imbarcava acqua da una falla determinata dall'urto con la nave. La barca, carica fino all'inverosimile, mette la prua verso la Sicilia. L'acqua continua però ad appesantirla a tal punto che il capitano del F-174 chiama via radio la Yiohan per chiedere aiuto. La motonave torna indietro, raggiunge il barcone ma durante l'accostamento c'è un'altra collisione: questa volta la carretta di legno si spezza, mantenendo integra la poppa. Dalla Yiohan vengono buttate delle corde in mare per tentare di salvare qualcuno. La stragrande maggioranza di coloro che erano stati fatti salire sul peschereccio non riescono ad uscire e vanno a fondo. La Yiohan, con i pochi scampati al naufragio, fa rotta verso la Grecia ed è qui che verranno fatti sbarcare i superstiti che verranno interrogati dalla polizia ellenica.

"Ero convinto - dirà un sopravvissuto - che tutto il mondo stesse parlando della nostra tragedia". Dino Frisullo riferisce di almeno 150 persone rimaste intrappolate nelle celle frigorifere del barcone: erano stati sistemati nella parte del natante dove si trovano i congelatori per il pesce ed i portelloni erano stati chiusi per far posto ad altre persone in coperta. Il signor Thavathyrai (il tamil che ha descritto a Quagliata le fasi del naufragio) ha quindi riferito che intorno alle tre e mezza del mattino di giorno 25 dicembre la motonave ha messo la prua verso la Grecia. Una descrizione confermata da altri sopravvissuti che sono stati contattati in quei giorni dal giornalista del Manifesto. Un ventenne pachistano aggiunge che la sera del 24 dicembre erano nei pressi di Malta, in attesa della notte di Natale, momento ritenuto dai trafficanti di esseri umani maggiormente propizio, per la minore vigilanza dei guardacoste e per il minor numero di imbarcazioni in giro.

Parecchi naufraghi provenivano dalla provincia di Swabi, in Pakistan. Undici di loro avevano deciso di affrontare insieme il viaggio. Shakurd, dopo tre anni passati a Roma, era dovuto tornare nel suo paese. Non avendo il permesso di soggiorno ha tentato di rientrare in Italia da clandestino. Nel naufragio di Natale si è salvato per miracolo, riuscendo ad aggrapparsi ad una corda mentre la barca di legno stava scomparendo tra i flutti. Pare che la meta principale fosse la Spagna. I tamil di Palermo (oltre duemila persone) vengono informati del naufragio attraverso l'edizione straordinaria del giornale "Il Emursu", organo di stampa della comunità Tamil in Europa. Il quotidiano Vrakesari, il 12 gennaio '97, pubblica l'elenco degli scomparsi. Una rivendita di frutta e verdura nel capoluogo siciliano, gestita da un cingalese che da dieci anni vive in Sicilia, diventa il punto di raccolta delle informazioni sui dispersi del naufragio della notte di Natale. La prima conferma dell'avvenuta tragedia giunge dalla Svizzera, attraverso un loro connazionale, Jeh Chanran, che nel naufragio a largo della Sicilia ha perso un fratello. Il flusso di telefonate è continuo per diversi giorni: dalla Germania, dall'Inghilterra e dalla Francia. La domanda è sempre la stessa: sapere se qualche parente si è messo in viaggio verso l'Europa nelle settimane precedenti. Remì Moses, studente in economia a Jaffa, dopo l'occupazione delle milizie avversarie, si era trasferito a Colombo. Restando in Sri Lanka si sarebbe dovuto arruolare: è per questo motivo che ha deciso di partire lasciando a casa i genitori e la sorella. Per farlo arrivare in Europa un'organizzazione criminale, che fa affari d'oro sui viaggi dei "clandestini", gli ha chiesto 13 milioni di lire. Un suo amico ha raccontato agli zii di Remì, che vivono a Palermo, i particolari della tragedia di Natale e la morte del loro nipote. Il primo contatto con i trafficanti lo hanno avuto a Colombo, quindi le "prenotazioni" vengono smistate ad un'organizzazione più grande che stabilisce i dettagli materiali del viaggio. Il primo trasferimento (in aereo, da Colombo al Cairo) avviene a novembre; da qui altra tappa per Alessandria d'Egitto ed infine partenza, via mare, verso la Sicilia.

(brano tratto da «Dossier Portopalo»)
Fonte: LaSicilia.it il 06-08-2007 - Categoria: Editoria

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