Delitto Giuliano, collaboratore non si presentaa testimoniare

(dfr) Ha fatto scena muta davanti ai giudici della Corte d'Assise d'appello di Catania l'unico testimone citato dalla difesa del boss di Lentini Nello Nardo al processo d'appello per l'omicidio dell'autosalonista di Pachino Salvatore Giuliano, assassinato il 26 febbraio 1992, ripreso ieri mattina. Francesco Campisi, imputato di reato connesso citato dall'avvocato Giambattista Rizza, legale di fiducia del boss lentinese, si è avvalso della facoltà di non rispondere. All'udienza di ieri doveva essere raccolta anche la deposizione del collaboratore di giustizia Sebastiano Gigliuto ma sul testimone, che avrebbe dovuto essere sentito in videoconferenza, il Servizio centrale di protezione non ha fornito alcuna indicazione.

A questo punto il procuratore generale Gaetano Siscaro ha chiesto l'accompagnamento in aula di Gigliuto per raccoglierne "dal vivo" la testimonianza. La richiesta dell'accusa non è stata accolta di buon grado dall'imputato. Nello Nardo ha chiesto alla Corte di prendere la parola contestando la scelta di sentire di presenza il collaborante. Il tenore delle dichiarazioni rese in aula dall'imputato ha spinto il rappresentante dell'accusa a chiedere la copia dei verbali di udienza. La Corte ha accolto la richiesta dell'accusa e ha fissato l'audizione del collaboratore di giustizia per l'udienza del 4 maggio nell'aula bunker del carcere catanese di Bicocca.
Fonte: GDS.it il 14-04-2005 - Categoria: Cronaca

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Una serata di maggio, del 1989.....

Era appena passata la mezzanotte e il tocco canonico, solenne, della "ciccannina" tardava ad arrivare. Guardavo, con una certa apprensione, l'orologio al polso, che batteva le 0.28, e mi chiedevo: cosa potesse essere successo all' orologio posto sotto al campanile della chiesa madre.
Mi affacciai, allora, dalla finestra del cucinotto,che era stato trasformato in copisteria eliografica, dell'appartamento posto al secondo piano in Piazza Vittorio Emanuele 41 e scoprii, con un certo stupore, che l'orologio non aveva più le lancette.
Nel guardare, stupito, quello che non vedevo, mi stropicciai gli occhi è pensai: non può essere vero!
Presi, allora, il potente binocolo che avevo da qualche giorno comprato, in un negozio di ottica di Pachino, e dopo averlo tirato fuori dalla custodia, lo puntai, mettendolo a fuoco, girando l'apposita rotella, sulla torre della chiesa Madre.
Era tutto vero, non mi ero sbagliato: l'orologio era privo di tutte e due le lancette e la luce che solitamente illuminava il quadrante circolare dell'orologio era spenta.
Abituato a quel richiamo solenne per staccare dal lavoro e andare a dormire,
e mentre mi rispondevo a mente che: "forse si era rotto e stanno provvedendo a riparalo", sulle lenti del binocolo, improvvisamente, inquadrai un grandissimo uccello notturno( a Piula) che con uno sbattere leggero ed elegantissimo delle ali si era posata sul cornicione in arenaria della torretta, proprio, di fronte al quadrante.
Rimasi per un attimo senza fiato. Le proporzioni di quell'animale notturno erano gigantesche, e prima d'ora, non avevo mai visto un esemplare cosi grande.
Rimasi, per un attimo, sbalordito per quella inusuale visione ed esclamai a mente: "mizzica quanto è grosso questo rapace!"
Incuriosito per la scoperta, decisi per un pò di seguire le sue mosse e evoluzioni. Mi infilai, all'ora, l'impemeabile bianco e salii fino sulla terrazza del palazzo.
La serata, di maggio, era calma e quieta e da quella posizione riuscivo ad avere un quadro d'insieme e d unitario della grande piazza di Pachino.
Sulle scalette del palco musicale, un gruppetto di giovani erano seduti a parlare fra di loro.
Mente nel quadrante destro, solitamente destinato, per usanza dettata da una impercettibile volere sovrano da imponderabili decisioni subliminali tutte da studiare, al passeggio dei colti e degli intellettuali locali. E tre signori, di mezza età, erano assorti nella loro animate discussione in corso. E l'ampio gesticolare e l'approccio prossemico, ben visibilile, lasciavano percepire una certa animosità nella discussione: poichè, ogni dieci passi, si fermavano e a turno cominciavano a sbracciarsi e a gesticolare ed indicare con l'indice ora in questa ora in quell'altra direzione. Inquadrandoli,d'istinto, per un attimo, con il mio binocolo, mi resi conto che erano le solite persone, da me ben conosciute, che amavano incontrarsi a tarda ora per scambiarsi le loro riflessioni sulle questioni piccole e grandi di questo mondo.
Per me erano persone simpatiche per la loro usanza di incontrarsi in quella tarda ora, anche se non avevo mai avuto l'opportunità di parlare con loro.Ma, con i quali, avevamo, per istinto, ed educazione, intrapreso una formale e simpatico,almeno per me, reciproco saluto.
Insomma, la solita pacata serata di maggio, carica di frizzanti folate di venticello che tirava, come al solito, da ponente.
Tornai d'istinto ad inquadrare il cornicone del campanile e mi resi conto che il grande rapace era ancora fermo nella stessa posizione dove lo avevo lasciato.
Fu una questione di pochi secondi e,improvvisamente, vidi il grande rapace che scendeva in picchiata sul lato sinistro e sui rami alti degli alberi di ficus che ornano, sui quattro lati, la grandissima ed invidiabile piazza di Pachino.
Appena il rapace sfiorò le cime più alte: un cinguettio impazzito fece sollevare svolazzanti in ogni direzione una ventina di passeri che stavano assorti e appollaiati a dormire fra le foglie di quegli alberi che trovi in ogni latitudine e longitudine delle sponde del mediterraneo.
Uno sbattere d' ali furibondo, del grande rapace notturno in picchiata: aveva immancabilmente catturato uno di quei poveri passeri colti nel sonno.
E riprendendo il volo, imperiale, dopo avere fatto un'ampia semicircolare evoluzione calibrata, si era riposizionato nello stesso cornicione di prima.
Uno spettacolo incredibile per me che non l'avevo mai osservato prima.
Dovetti aspettare ancora dieci minuti per rivedere la stessa identica evoluzione di caccia notturna del rapace. Mentre aspettavo, assorto e pensieroso, per vedere qualche altra evoluzione, improvvisamente senti lontano un mesto e malinconico piangere di donna.
Mi spostai sull'angolo della terrazza, che fà angolo con via Giardina, guardai sotto per vedere da dove proveniva quel lamento, di grida e di pianto a dirotto che salivano in alto come una malinconica litania. Sulla via laterale, la povera donna si era fermata di fronte al cartellone dell'ex cinema Diana dove erano rimasti attaccati spezzoni di locandine dei vecchi films ,oramai illeggibili e consunti da tempo.
Fra la litania e il lamento che prefigurava una grande disgrazia, fra il pianto pieno e gli incomprensibili parole fra gli inconsulti singhiozzi, ogni tanto sentivo nitido: "Currau ...ohhhh.. Currau... avete visto a Currau....unni è Currau......u miu"
Decisi immediatamente di lasciare perdere di osservare la scena del grande rapace notturno che, improvvisamente rispetto a quello che mi arrivava alle orecchie, sembrava una cosa futile e priva di senso.
Non appena misi piede in piazza e mi avvicinavo alla donna e al gruppetto di ragazzi che la stavano a guardare la lontano, capii, tutto d'un tratto, quello che era successo e avendo conferma al volo con un gesto inequivocabile della mano,da parte di uno dei ragazzi, capii del fatto gravissimo e irrecuperabile che il grande uccello rapace umano, l'innominabile, che faceva ombra su tutto il promontorio: aveva rapito per sempre, a Carrata, con due fucilate a canne mozze, a Currau!!!!

Cordiali, ma mesti e tristi, Saluti,Spiros