Davanti ai giudici superstite del naufragio "strage negata"

MILANO (Reuters) - La vicenda di una strage dimenticata ed a lungo persino negata, quella dei 286 morti su una barca di clandestini inghiottita dal mare del Canale di Sicilia nella notte di Natale del 1996, potrebbe arrivare finalmente ad una svolta.

E' quanto riferiscono a Reuters fonti legali, annunciando per oggi mercoledì 17 davanti ai giudici del tribunale di Siracusa, l'attesa testimonianza di un sopravvissuto al naufragio, Mohamed Sakur, pakistano, oggi residente in Italia con regolare permesso di soggiorno.

A Siracusa si celebra il processo per omicidio volontario all'unico imputato, Sheik Turab, pakistano residente a Malta, armatore della F 174, la barca di 16 metri inabissatasi quella notte dopo una collisione con la nave Yohan, a sua volta carica di clandestini.

La notizia del naufragio era stata diffusa per la prima volta con un lancio dell'agenzia Reuters, il 4 gennaio 1997, riguardo un gruppo di immigrati clandestini asiatici che, arrestati in Grecia, si erano proclamati superstiti di un naufragio, costato la vita a 283 loro compagni, scomparsi tra i flutti con tre loro trasportatori la sera del 26 dicembre nelle acque del Canale di Sicilia.

Una segnalazione accolta all'epoca con scetticismo dalle autorità italiane, perché priva di riscontri: nessun avvistamento né di cadaveri, né di pezzi del relitto.

"Ma nel frattempo abbiamo rinvenuto copia di un fax inviato da Malta (in quei giorni) alle autorità marittime siciliane, che chiedeva che fine avesse fatto l'imbarcazione partita il 25 dicembre 1996 e che non era rientrata", dice a Reuters Simonetta Crisci, avvocato che rappresenta una trentina di famiglie pakistane, parenti delle vittime, al processo di Siracusa, citando un documento che potrebbe comprovare come le autorità in realtà fossero state avvisate della scomparsa di un'imbarcazione.

LIBRO INCHIESTA E SPETTACOLO TEATRALE SULLA NAVE FANTASMA

La strage a lungo negata è stata rievocata di recente in "I fantasmi di Portopalo" (Mondadori) da Giovanni Maria Bellu, inviato del quotidiano "La Repubblica", e da "La nave fantasma", spettacolo teatrale di scena in questi giorni a Milano, di cui Bellu è autore assieme a Renato Sarti che ne ha curato la regia.

Un'inchiesta, quella di Bellu, sulla scia del lavoro di un altro reporter, Dino Frisullo, scomparso lo scorso anno, che già nel gennaio 1997 aveva stabilito contatti con i superstiti arrestati nel Peloponneso e con le famiglie delle vittime del naufragio, soprattutto pakistani, sikh dell'India e tamil dello Sri Lanka.

"Dino consegnò personalmente a sottosegretari dell'allora governo Prodi, al capo della polizia ed autorità giudiziarie il dossier con non solo i nomi dei trafficanti ma la ricostruzione del traffico dalla Turchia alla Grecia a Malta", dice a Reuters Alessia Montuori, dell'associazione umanitaria Senzaconfine, di cui faceva parte Frisullo.

UNA CONTORINCHIESTA DEI FAMILIARI DELLE VITTIME

La controinchiesta era frutto delle ricerche effettuate da alcuni familiari delle vittime pakistane.

"Quella strage, ignorata in Italia, all'estero aveva invece fatto scalpore. E in quel momento si era spezzata l'omertà (tra i clandestini sui trafficanti) e si sarebbe forse potuto stroncare quel traffico", dice ancora Montuori, mentre Senzaconfine non ha ottenuto davanti al tribunale di Siracusa il riconoscimento di parte civile.

Bellu, che nella sua inchiesta ha ricostruito percorsi da incubo e condizioni disumane di quel traffico di clandestini, realizzò uno scoop il 6 giugno 2001, raccontando il ritrovamento del relitto, effettuato con un mezzo specializzato, rinvenuto a 108 metri di profondità, a 19 chilometri al largo di Capo Passero.

In un'intricata vicenda giudiziaria, complicata dalle procedure del diritto internazionale, il processo è approdato a Siracusa dopo che la nave coinvolta nel naufragio, la Yiohan, era stata sequestrata con un altro carico di disperati nel tratto di mare antistante Reggio Calabria, ed ha visto uscire di scena altri imputati come il comandante, il libanese Youssef El Hallal, e 10 uomini di equipaggio.

I resti degli sventurati, racconta il libro, continuarono a lungo a finire nelle reti dei pescatori siciliani. Che per molto tempo li ributtarono in mare senza dir nulla, dopo che il primo di loro che aveva segnalato il fatto alle autorità si era visto sequestrare la barca per accertamenti.

di Roberto Bonzio
Fonte: Reuters.com il 17-11-2004 - Categoria: Cronaca

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