Da 3 lettere l'identità della nave

Dopo la tragedia di Portopalo, la Yohan finì la sua corsa in Calabria. Davanti ai giudici della Corte d'Assise (presidente, Romualdo Benanti; a latere, Giuseppe Artino Innaria) sono comparsi due funzionari della Polizia di Stato di Reggio Calabria che, dal febbraio 1997, si sono occupati del tragico naufragio dei 283 cittadini asiatici avvenuto a 19 miglia dalla costa di Portopalo. Sull'emiciclo sono saliti prima il dirigente della polizia marittima reggina, Castrense Militello e, subito dopo, l'ispettore capo della polizia scientifica Salvatore Gagliano. Rispondendo alle domande del Pubblico Ministero Paola Vallario, il vicequestore Militello ha detto che il 28 febbraio 1997 si era arenata nelle acque di San Gregorio, in Calabria, una motonave dalla quale erano stati visti sbarcare degli immigrati. Nel momento di ispezionare la motonave, i poliziotti scoprivano che sulla fiancata erano stampigliate tre lettere «Oha», per cui, dopo aver rimosso la vernice bianca, accertavano uno strato di vernice blu e le restanti lettere per formare il nome «Yohan». In seguito al sopralluogo, nella saletta adiacente alla cabina del comandante veniva rinvenuta una busta contenente una corposa documentazione il cui vaglio portò alla individuazione dell'armatore, Eftichios Zervovdakis, nonchè dell'uomo che aveva organizzato il viaggio da Malta alle coste di Portopalo. Si trattava dell'imputato che oggi viene processato dalla Corte d'Assise per omicidio volontario come dolo eventuale. Ovvero di Hamed Sheik Turab, che, dopo il tragico naufragio della notte di Natale del 1996, era stato arrestato dalle autorità maltesi per poi essere rilasciato in quanto a suo carico, all'epoca, non era emerso assolutamente nulla. Dalla lettura delle carte, gli investigatori accertavano che l'imbarcazione era stata costruita nel 1971 in un cantiere polacco ed avrebbe dovuto essere adibita al trasporto del pesce. Da un resoconto giornalistico del «The Guardian», i poliziotti accertavano, altresì, che la «Yohan» era stata autorizzata dalle autorità elleniche a raggiungere la Romania per essere demolita.

In Grecia si recava il funzionario reggino dove interrogava due sopravvissuti del naufragio e il padre di un ragazzo morto annegato. I testimoni gli raccontavano che quella sera di Natale 1996, mentre impazzava un temporale la «Yohan» veniva affiancata da una piccola imbarcazione partita da Malta a bordo della quale, anche con la minaccia delle armi, venivano costretti a trasbordare i 283 cittadini asiatici. Tutti si rendevano conto che il 16 metri non potesse sopportare il peso dei 283 asiatici. Ma il comandante della «Yohan» non volle ascoltare le suppliche dei malcapitati passeggeri e diede l'ordine al timoniere di riprendere la navigazione. Il comandante della piccola barca, tale Farruggia, consapevole del grave rischio, via radiò richiamò il comandante della «Yohan», perchè riprendesse a bordo gli asiatici. La «Yohan» ritornò indietro ma, per le avverse condizioni del mare, speronò in pieno la piccola barca che si spezzò in due e colò a picco con il suo carico umano. Qualcuno dei naufraghi fu salvato, la maggior parte no. Il processo riprenderà dopo la pausa estiva, all'udienza del 7 ottobre.

Pino Guastella
Fonte: LaSicilia.it il 14-07-2004 - Categoria: Cronaca

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