Comizio del coordinatore nuova Dc

PORTOPALO - Si terrà sabato 11 alle ore 19 un pubblico comizio del coordinatore della nuova Dc Giuseppe Mirarchi. Oggetto del comizio sarà la politica nazionale ed i suoi risvolti. Ad annunciarlo è stato lo stesso Mirarchi che ha anche affermato: "Certamente la mia analisi partirà dalla politica nazionale ma non mancheranno i riferimenti alla nostra Portopalo e la sua situazione amministrativa".

(Sa.Mar.)
Fonte: LaSicilia.it il 04-12-2004 - Categoria: Politica

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QUANDO LA SCIARRA E' PA' CUTRA.

Riceviamo e pubblichiamo le ultime vicende regionali del'UDC.....Loro si che non litigano mai,ma mai,mai mai.....


editoriale "LA SICILIA"..................
Ma dove è finita
l'antica mediazione dc?
Domenico Tempio

La Sicilia del centrodestra è in effervescenza. O, almeno, alcuni degli uomini che, avendo vinto le elezioni del 2001, pensavano di trovare uno spazio adeguato nella politica nazionale. Certamente nel governo Berlusconi i siciliani non mancano: vi sono due ministri (La Loggia e Prestigiacomo); vi è anche Antonio Martino ma per meriti personali, dato che è stato uno dei fondatori di Forza Italia; vi sono due vice ministri, Urso e Miccichè, che una buona visibilità se la sono data. Però, nonostante tutto, e nel tutto mettiamo il 61 a zero inflitto dalla Casa delle libertà al centrosinistra, il ruolo della Sicilia, dobbiamo riconoscerlo, rimane privo di concreti benefici.
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A cosa addebitare questa marginalità? Secondo noi a due fattori: uno nazionale e un altro locale.
Cominciamo col «fattore nazionale». La politica italiana ha avuto sempre una specificità nordista. E ciò lo diciamo non per ripetere il vecchio ritornello Sud e Nord, ma perché differenze storiche ed economiche li hanno sempre più distanziato. Abbiamo scritto di recente che tutti, partiti, sindacati, imprenditori, negli anni hanno utilizzato l'emergenza Sud come un alibi: i partiti per raccogliere voti, i sindacati per organizzare adunate di protesta, gli imprenditori per ricevere sovvenzioni. Il caso Fiat di Termini Imerese è emblematico. Aggiungasi nell'ultimo decennio il ricatto nordista della Lega che ha condizionato la politica italiana e il quadro si può dire completo.
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Secondo fattore, quello «locale». Una volta si rimproverava alla Democrazia cristiana di avere tante anime quanti erano i suoi leader. La Sicilia in questo rispecchiava il modello nazionale, passando di crisi in crisi, sino all'autodistruzione di un partito che aveva guidato la ricostruzione del Paese dopo la guerra. L'uscita di scena dello scudocrociato molti l'addebitano a tangentopoli. Non siamo sicuri che il crollo dello scudo crociato sia dovuto esclusivamente all'intervento della magistratura. Quella è stata la «soluzione finale» alla quale i dc, presi dalle liti intestine, non hanno avuto la forza di reagire.
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Perché abbiamo ricordato questa importante fase politica, se non proprio storica, dell'allora Dc? Perché vogliamo proprio ricordare a tutti gli ex democristiani dell'Udc, che oggi litigano e si dividono, che stanno ricalcando quelle premesse che travagliarono a suo tempo il loro partito d'origine. La nobiltà del dibattito politico ha un senso se non si insinua nella gente il sospetto che la lite è circoscritta alle ambizioni personali.
E' fuor di dubbio, per uscire dal generico, che Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro sono gli uomini forti dell'Udc in Sicilia, quelli che hanno vinto le elezioni e giustamente ritengono di essere i leader del partito e di poter contare non solo in Sicilia ma anche nel governo nazionale. Averli isolati (o essersi autoisolati) è stato un errore. Come, onestamente, è stato un errore da parte dei due leader non aver tastato bene il polso a una realtà che con diverse sfaccettature cercava un suo spazio. Una frattura generazionale che andava gestita con sapienza dall'una e dall'altra parte per evitare che l'Udc implodesse e il «caso Sicilia» diventasse un caso nazionale. Una soluzione doveva essere trovata in loco. Una leadership forte, e quella di Lombardo e Cuffaro lo è, doveva trovare tempi e modi per risolvere la crisi. Così dicasi per coloro che vengono definiti «ribelli»: se oggi hanno ottenuto la soddisfazione della nomina di un supervisore venuto da lontano, ciò non significa una piena vittoria. Essere commissariati non è una bella cosa in un dibattito politico. Le ferite sono di entrambe le parti. Come rimarginarle? Occorre, secondo noi, un azzeramento di quelle posizioni di intransigenza che hanno causato la frattura. Ci chiediamo: dove è finita la vecchia anima della mediazione di cui i democristiani di ieri e di oggi sono andati sempre fieri?