Alle radici del divertimento sfrenato

Che il Carnevale palazzolese abbia origini antichissime, che si legano profondamente alle radici greco-romane della città, è fatto fin troppo ovvio, anche se non documentabile. Altro fatto è dare delle datazioni al carnevale di Palazzolo, come di ogni altro centro siciliano. Ciascun carnevale vanta origini antiche e ogni centro in cui la tradizione del Re Mangione vive al giorno d'oggi, si vanta di essere «il più antico carnevale di Sicilia». Fino ad oggi nessuno è in grado di portare documenti a suffragare le proprie affermazioni circa la presunta antichità. Chi lo fa, e sono tanti seri studiosi a farlo, non va al di là dell'Ottocento, in cui le manifestazioni carnevalesche si arricchiscono di elementi spettacolari, teatrali e in cui nascono le prime sfilate di carri allegorici in cartapesta. I meno seri fra gli studiosi si inventano storielle varie su cui è meglio stendere un velo di pietoso silenzio. Il sottoscritto ha avuto la fortuna di trovare un documento fra alcune carte d'archivio (fra le tantissime ricerche che ha avviato "sul campo") che "data" incontrovertibilmente il Carnevale palazzolese e ne fa veramente un "Antico Carnevale" (fra i più antichi di Sicilia). Si tratta di un Bando gettato dal Capitano della città e dai Giurati per regolamentare alcuni fra gli usi e i costumi più popolari del carnevale. Siamo nell'anno 1663 e in vista del vicino Carnevale che iniziava a Palazzolo dopo il 25 Gennaio, festa del Patrono della città, le autorità cercano di "disciplinare" la festa (cosa, come si sa, alquanto ardua e assolutamente controproducente). Per far questo colpiscono alcune delle usanze che ormai erano inveterate. Ma leggiamo il documento che è davvero eccezionale: «Die quinto Ianuarii 1663. Perché si vide (…) che quelli giochi che si fanno in questi giorni di Carnelivari tanto in gettari arangi, darsi mazzonati ("colpi di mazza", n.d.a.) d'una parte e l'altra pur tari all'acqua et atri giochi (…) con lo proposito di levari gli inconvenienti si have fatto d'ordine del sig. Capitano l'infrascritto banno per lo quali si ordina e comanda che nessuna persona di qualsiasi stato e grado voglia né debia ciochare et aver giocato con arangi, colpi di mazzonati, purtare ad acqua et altri giochi ad di livari li inconvenienti sotto la pena di onze 4 e sei mesi de canne». Come si vede il documento ci parla di un cerimoniale davvero insolito per le nostre parti e che credevamo fosse un esclusiva del Carnevale di Ivrea: la battaglia delle arance, combattuta fra due o più squadre rivali. Naturalmente anche allora i Regolamenti e i divieti poco valevano in tempi di goduria generale. Mi ricordo che fino a non molti anni fa le battaglie a base di talco e acqua, di ceci e di colpi di mazza erano un fatto che, se infastidiva i più, gratificava gli attori del rituale. Spesso la cosa degenerava al punto che ne nascevano furibonde risse, poiché, protetto dall'inquietante maschera,qualcuno consumava qualche piccola vendetta personale. Anche per questo le autorità si preoccuparono assai presto di regolamentare l'uso delle maschere. A Catania accadde, ad esempio, che dallo scherzo si passò all'omicidio: nel 1902 anche Catania festeggiava il suo Carnevale fatto di giochi innocui, di scherzi piacevoli, ma anche delle solite battaglie a base di talco, gesso e quant'altro materiale imbrattante. In particolare fra la gente irruppe una comitiva di mascherati che cominciarono a spargere sulla folla cipria, gesso e acqua, e a lapidare con lancio di pietruzze quanti assistevano dai balconi al «Festival» in piazza. Ad un certo punto intervenne la polizia e nel tumulto che ne seguì si trovò il corpo di un ragazzo di 14 anni ferito da un colpo di pistola. Ne seguì una vera ribellione a stento sedata. Da allora si proibì il carnevale a Catania. Non sempre tuttavia le autorità intervenivano per reprimere o proibire.

Nel 1851 l'Intendente della Valle di Siracusa invia una circolare ai sindaci della Provincia (che allora comprendeva Siracusa e Ragusa) per spronarli a «Far riuscire divertito e brillante il carnevale». Fra le risposte in "riscontro" alla missiva dell'Intendente riporto solo questa che mi sembra interessante nella sua estrema sintesi: «Dal Sindaco di Scicli all'Intendente: Signore (…) in questa comune per quanto riguarda il ceto della bassa gente non occorre alcun stimolo, giacchè, essendo essa al presente la classe più agiata, stante l'abbondanza dei generi, si è abbandonata a tali sollazzi senza moderazione! In quanto ai proprietari e borgesi si usa la necessaria moderazione, non perché essi trovansi occupati a sostenere li pesi sociali, ma perché non le riesce poi molto sensibile il passaggio dal tripudio alla concentrazione, che esigge la prossima Quaresima». Davvero eccezionale il documento perché in sostanza conferma che il carnevale lo volevano e lo facevano le classi popolari, anche per l'abbondanza del cibo a disposizione. Infatti in questo periodo in un modo o nell'altro la tavola dei poveri era più ricca e succulenta, e il maiale, e la salsiccia in particolare, vi faceva la sua smagliante comparsa. A proposito di salsiccia. Anche qui Palazzolo può vantare il suo bel primato. Che abbia della buona salsiccia lo dice anche il proverbio, quando scansonato ripete: «Ppi sausizza Palazzuolu, ma ppi finuocci Sarausa», intendendo ambiguamente il primato di Siracusa nella produzione di finocchi e giocando sul doppio senso della parola salsiccia. Ma che la si producesse sempre allo stesso modo, almeno da trecento e più anni, è dimostrabile da alcuni documenti da me scoperti, da cui si evince inoppugnabilmente come la salsiccia palazzolese sia prodotto «tipico» del paese. Dimostrata l'antichità del carnevale palazzolese, veniamo a parlare brevemente di un rito che (purtroppo) non si pratica più a Palazzolo: il rogo o morte di Carnevale. Quello che era il clou appunto di ogni Carnevale oggi è scomparso, sostituito da un ballo da discoteca di cui sono protagonisti loro e sempre loro. I giovani eternamente in festa (beati loro!). Credo, e lo dico senza spirito polemico, che, anziché andare alla ricerca di improbabili maschere tipiche, bisognerebbe un anno tentare di riprendere questo suggestivo e arcaico cerimoniale, antico come il carnevale, che magari non dirà più nulla ai più, ma che in definitiva può essere una sorta di citazione storica, che col tempo può ridiventare elemento tipico del Carnevale. Un modo di esorcizzare e di impedire, attraverso la «fine di Carnevale», la «fine del Carnevale».

Luigi Lombardo
Fonte: LaSicilia.it il 19-02-2004 - Categoria: Cultura e spettacolo

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