Acquisita la lettera del ricatto

PACHINO - La lunga pausa di riflessione dei giudici della terza sezione della Corte d'Assise di Appello (presidente, Cardaci; a latere, Russo) non è stata vana. Alla fine è arrivata la decisione della Corte d'Appello che ha rigettato l'istanza di ricusazione avanzata contro il collegio giudicante da alcuni imputati appartenenti al clan catanese dei Cursoti e, una volta che è stata riconosciuta la loro imparzialità, i giudici sono entrati in camera di consiglio per decidere la sorte dei pachinesi e dei catanesi coinvolti nell'operazione antimafia «Pachino», già tutti in primo grado condannati al termine del processo celebrato con il rito abbreviato.
Prima di entrare in camera di consiglio, dalla quale usciranno nella mattinata di domani, i giudici hanno acquisito al fascicolo processuale una lettera a firma del pentito Orazio Maurizio Avolese.

A chiederne l'acquisizione è stato l'avvocato Luigi Caruso Verso perchè, a suo dire, era estremamente importante che i giudici valutassero la personalità del collaboratore di giustizia e soprattutto la sua attendibilità. E la Corte, raccolto il parere favorevole del Procuratore Generale, Toscano, ha acquisito la lettera che Maurizio Avolese aveva inviato al compaesano Claudio Dugo, all'epoca detenuto nel carcere di Giarre, con la quale gli proponeva di prendere contatti con i familiari di Salvatore e Corrado Giuliano, di Massimo Caccamo e di Angelo Caruso e di chiedere a ciascun nucleo familiare la somma di cinque milioni di lire. «Quando mi darai comunicazione che ti hanno dato i soldi, sarà mia premura presentarmi dinanzi ai giudici per ritrattare tutte le accuse per le quali, a conclusione del processo di primo grado, sono stati condannati».

Questo è uno dei passaggi della lettera acquisita dalla Corte, nella quale, tra l'altro, il giovane pentito diceva a Dugo «quando avrò i soldi festeggeremo. Anzi ti prego ti mandarmi anche un paio di scarpe da tennis all'interno delle quali vedi di mettere un pò di...». All'udienza, tenutasi nell'aula bunker di Bicocca, non era presente Orazio Maurizio Avolese, che in primo grado è stato condannato a sei anni per associazione mafiosa ed altri reati. Non è sceso a Catania perchè, dopo essere finito in carcere a Sanremo dopo aver commesso una rapina a mano armata, ha di nuovo ottenuto il beneficio della remissione in libertà. Invece, era presente Sam Avolese, il padre del discusso collaboratore di giustizia. Sam, che è pure lui protetto dallo Stato, ha reso una spontanea dichiarazione per manifestare la personale incredulità dinanzi al contenuto di quella missiva prodotta dall'avvocato Luigi Caruso Verso. «Non crederò mai che mio figlio abbia potuto scrivere quella lettera», ha detto con le lacrime agli occhi Sam Avolese. Il quale, poi, si è lanciato in una difesa d'ufficio in favore di tutti quelli che prendono la decisione di collaborare con la giustizia.

Pensate al sottoscritto. Avevo un buon lavoro e frequentavo anche personalità del mondo del cinema e della moda. Ebbene, se ho deciso di collaborare con la giustizia l'ho fatto soltanto per liberare Pachino, una cittadina abitata da oneste persone, dalla mala erba, dagli intrallazzisti, dai delinquenti». Sam Avolese non è riuscito a completare il suo intervento oratorio perchè le lacrime hanno avuto il sopravvento. E pur tuttavia, prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio, Sam Avolese è riuscito a riavvicinarsi al microfono per fare sentire ancora la sua voce. Vi prometto che, tornando in carcere, telefonerò a mio figlio e gli chiederò conto e soddisfazione sulla lettera che vi ha prodotto il senatore Luigi Caruso Verso». Poi, una volta ritornato il silenzio, i giudici hanno abbandonato l'aula bunker.
Fonte: LaSicilia.it il 06-12-2002 - Categoria: Cronaca

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