a difesa la denominazione «Pachino»

PACHINO - Difendere la denominazione "Pachino" dagli usi impropri che vengono fatti. È questo l'obiettivo del presidente del consorzio di tutela Carmelo Latino e del presidente dell'Atptp, cioè l'associazione di tutela dei prodotti tipici pachinesi Salvatore Chiaramida che hanno diffuso il bando relativo alla tutela dell'Igp pomodoro di Pachino". A seguito dell'ottenimento del riconoscimento definitivo della denominazione "IGP Pomodoro di Pachino" e delle diverse osservazioni formulate sul conto dell'uso della parola "Pachino", i consorzi di tutela hanno comunicato alcuni concetti fondamentali sulla normativa in materia di denominazioni, nomi, marchi e segni distintivi. Il riferimento alla parola "Pachino" nei prodotti agricoli o alimentari è riservata solo ed esclusivamente al pomodoro, previa iscrizione nell'elenco degli operatori tenuto dalla SoCert - società di certificazione s.r.l. che è l'organismo di controllo autorizzato dal ministero delle politiche agricole e forestali e solo per il pomodoro proveniente dalle aziende iscritte in tale elenco. Non sarà dunque possibile assegnare tale denominazione a prodotti non iscritti nell'elenco degli operatori SoCert o a prodotti simili ma provenienti ha altri luoghi. Usi impropri della parola "Pachino" sono vietati (così come previsto dall'art.13 del regolamento Cee 2081/92 che tutela la denominazione e vieta "qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto di registrazione) nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della denominazione protetta.

È altresì vietata qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera del prodotto è indicata o se la denominazione protetta è una traduzione o è accompagnata da espressioni quali "genere", "tipo", "metodo", "alla maniera", "imitazione" o simili. Divieto anche per qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualità essenziali dei prodotti, usata sulla confezione o sull'imballaggio, nella pubblicità o sui documenti relativi ai prodotti considerati, nonché l'impiego, per la confezione, di recipienti che possono indurre in errore sull'origine e per qualsiasi altra prassi che possa indurre in errore il pubblico sulla vera origine dei prodotti. Se una denominazione registrata contiene la denominazione di un prodotto agricolo o alimentare che è considerata generica, l'uso di questa denominazione generica per il prodotto agricolo o alimentare appropriato è ammessa. Secondo il regolamento comunitario comunque "gli stati membri possono mantenere le misure nazionali che autorizzano l'impiego delle espressioni quali "tipo" o "genere" o "alla maniera di" e simili, per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di pubblicazione del regolamento, sempreché i prodotti siano stati commercializzati legalmente con tali espressioni per almeno cinque anni prima della data di pubblicazione del presente regolamento, e dalle etichette risulti chiaramente la vera origine dei prodotti. Questa deroga non può tuttavia condurre alla libera commercializzazione dei prodotti nel territorio di uno stato membro per il quale dette espressioni erano vietate, né le denominazioni protette possono diventare generiche". Divieto vige anche nell'eventualità che l'uso di un marchio non registrato o di un marchio simile possa generare confusione nel pubblico. Oltre che ai marchi commerciali in senso stretto, il divieto vale per le denominazioni e i segni distintivi che identificano presso il consumatore un prodotto o un'attività.

Salvatore Marziano
Fonte: LaSicilia.it il 18-01-2005 - Categoria: Economia

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