Un libro alla settimana - 8

Un libro alla settimana - 8 L’ottavo appuntamento con il libro della settimana segnalato dal Cinecircolo socioculturale “Don Bosco” è incentrato su PORTOPALO COM'ERA dello storico portopalese Corrado Cernigliaro. Già autore di una vasta, dettagliata e completa pubblicazione sulla storia di Portopalo (Edizioni Setim Modica, anno 1996), Cernigliaro ha pubblicato nel 2007 “Portopalo com’era”.

Dalla recensione di Sergio Taccone (pubblicata dal quotidiano La Sicilia dopo l’uscita del libro):

Impegnato da molti anni a far luce sulla storia locale, passata e recente, Corrado Cernigliaro ha da poco pubblicato un nuovo prezioso volume, intitolato “Portopalo com’era - Voci e modi dialettali”. Nel libro l’autore elenca ed analizza alcuni aspetti di storia locale: voci dialettali, modi di dire, aspetti sociologici, la vita dei pescatori e degli agricoltori portopalesi nei primi anni del secondo dopoguerra.
Ed ancora ninne nanne e filastrocche di un tempo passato, le serenate che si suonavano sotto le finestre degli innamorati, i soprannomi più diffusi in paese. Questi i punti di forza del nuovo libro di Cernigliaro Una catalogazione dal notevole valore “etnografico”, che tiene conto delle ricerche di Mortillaro (1838-44) e Tropea (1977).
Scrive Cernigliaro: “Questo elenco intende far conoscere ai giovani che i loro bisnonni e nonni si esprimevano un po’ più antiquatamente del presente, facendo uso di parole, frasi, modi di dire oggi quasi del tutto scomparsi. Ciò per una serie di motivi, a cominciare dal naturale evolversi del linguaggio, poi perché, con riferimento al mondo del lavoro, domestico e ai mutamenti urbanistici e sociali sono di conseguenza spariti oggetti ad essi legati”. Nel capitolo sui canti e le storielle popolari Cernigliaro inserisce “Il racconto delle menzogne”, nella versione trasmessa oralmente dal poeta-contadino Giuseppe Petralito, nonno dell’autore, ritratto anche nella copertina del libro) ed il poemetto sul terremoto di Messina, di autore anonimo, nella versione raccontata da Damiano Litrico e tramandata da Sebastiano Cannarella (detto Munnazzu).
La parte storico-sociologica trova risalto nel capitolo riguardante “L’alimentazione nel periodo della guerra”. Così esordisce l’autore: “Per i contadini portopalesi, abituati a tenere in casa i diversi prodotti ricavati dal lavoro della terra, l’alimentazione non ha costituito quasi mai un serio problema, anche in tempi difficili di magra. I problemi caso mai esistevano tra i restanti ceti popolari, ciò non di meno, gli anni di guerra furono una calamità per tutti”.


UN BREVE ESTRATTO DEL LIBRO:

L’alimentazione nel periodo della guerra
(Cap. VI)

Per i contadini portopalesi, abituati a tenere in casa i diversi prodotti ricavati dal lavoro della terra, l’alimentazione non ha costituito quasi mai un serio problema, anche in tempi difficili di magra. I problemi caso mai esistevano tra i restanti ceti popolari, ciò non di meno, gli anni di guerra furono una calamità per tutti, poiché anche per dotarsi dei generi più diffusi e reperibili sul mercato, si verificavano oggettive difficoltà.

Da notare poi che il pane era razionato e per averlo occorreva la tessera annonaria. Ma – come spesso accade nella vita d’ogni giorno sotto la spinta impellente del bisogno – la gente s’ingegnava in vari modi per sbarcare il lunario e dare ai giorni un’apparenza di normalità. D’altro canto, gli anni di poco precedenti la guerra, non erano certo stati migliori, dato che la precarietà era a volte vigile sugli usci delle case. Vivendo in un piccolo paese – tra mare e campagna – le soluzioni erano a portata di mano…. e di vista.
Bastava solo aprire gli occhi e tendere le mani verso le immediate vicinanze dell’abitato. Le erbe sostituivano i generi alimentari economici più reperibili e diffusi a tavola, anche se non molto nutrienti. Ciò considerando che si trattava di monoalimentazione senza apporti di proteine animali. Interi nuclei familiari (ma donne per lo più), setacciavano le campagne, alla ricerca di cardedda (cicerbita o crespino), aiti (bietole), delle poco glabre e un po’ ruvide amaredde (sènape canuta), carduna (cardo gobbo), amarognoli ma gustosi se cotti e conditi con aceto, asparagi, cicoria (buona se cotta col maccu di fave), sènape, ma pure capperi e profumati semi di finocchio selvatico, ottimi per condimenti. D’uso corrente erano le chiocciole (barbàini e vavaluci dal guscio bianco rigato), che si raccoglievano d’inverno sui muri a secco interpoderali dopo le piogge, di sera coi fanali a petrolio e con la presenza pure degli uomini di casa. Gli animali si custodivano dentro panara, coperti con un sacco legato da una cordicella e inframmezzati all’interno con dei
tralci di vite, su cui le chiocciole si attaccavano. Dopo una decina di giorni erano pronte per essere cucinate a ghiotta con patate e peperoni (alcuni, dallo stomaco forte, aggiungevano tonnina)...
Pubblicata da: Cinecircolo Culturale Don Bosco il 31-12-2007 09:11 in Segnalazioni

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